ControVento, come abbiamo segnalato, ha aderito all’appello per promuovere una manifestazione a Ghedi il prossimo 21 ottobre per unire le forze contro le loro guerre. Siamo quindi intervenuti all’assemblea on line di domenica 24 settembre, per discutere e preparare questo appuntamento di lotta. Per ragioni tecniche, non abbiamo potuto registrare, o comunque render conto nel dettaglio il nostro intervento. Nell’assemblea, in ogni caso, abbiamo sottolineato l’importanza di questa iniziativa, in linea con quanto abbiamo sostenuto presentando l’appello di convocazione: costruire oggi una dialettica pubblica nel movimento contro la guerra è fondamentale, per contrastare le confusioni e gli sbandamenti portate avanti da un pacifismo preso in contropiede dal carattere imperialista del conflitto [che cancella lo spazio di ogni possibile intervento regolatore del diritto o degli organismi internazionali, come di ogni possibile pace giusta], come dagli opposti campismi o solidarietà internazionaliste che scivolano nel sostegno, anche militare, ad uno dei fronti in lotta. Per questo è stato giusto nella giornata del 21 ottobre costruire un’iniziativa con un profilo internazionalista chiaro ed esplicito, come a Ghedi. Per questo riteniamo comunque utile sviluppare una dialettica, e non una rottura, con gli altri appuntamenti di lotta di quella giornata: la manifestazione a Coltano e in Sicilia, contro l’escalation della guerra [nelle quali trovano spazio ogni sfumatura di pacifismo, come anche opposti campismi]. In una stagione segnata da una profonda disorganizzazione della classe lavoratrice, come dalla capacità di penetrazione di nazionalismi reazionari anche nelle classi subalterne, con un movimento contro la guerra che fatica a raggiungere e sviluppare dimensioni di massa, riteniamo infatti necessario da una parte sostenere apertamente e con chiarezza posizioni e iniziative disfattiste, dall’altra non rinunciare a dialogare, discutere e far maturare nell’insieme delle mobilitazioni la comprensione della dimensione imperialista del conflitto, la consapevolezza della nuova stagione dell’imperialismo di attrito e quindi l’importanza di sviluppare un’iniziativa disfattista. Per le sorti di quel conflitto e per contrastare nella nostra società le tendenze nazionaliste e militariste rilanciate dall’odierna contrapposizione tra blocchi. Per questo oggi è importante non solo partecipare alla manifestazione di Ghedi, o portare alle altre manifestazioni quelle posizioni disfattiste (se non si potrà esser a Ghedi), ma è altrettanto importante preparare e accompagnare quel corteo con interventi, dibattiti e iniziative in tutti i territori dove sia possibile farlo, proprio per sviluppare questa discussione e questa dialettica sulla guerra.
Non siamo riusciti a dar conto del nostro intervento, qui solamente richiamato nei temi, ma grazie al Pungolo Rosso ripubblichiamo qui il loro resoconto dell’assemblea, che da anche conto delle nuove adesioni al corteo del 21 ottobre a Ghedi: Comitato 23 settembre, Potere al Popolo, Fronte della gioventù comunista, Fronte comunista, Collettivo Occhio di classe, FIR, IMA (International Migrants Alliance), USB Brescia.
La preparazione di Ghedi è cominciata bene – e le nuove adesioni
La preparazione della manifestazione di Ghedi del 21 ottobre è cominciata sotto ottimi auspici, non c’è che dire. L’assemblea on line di ieri, più di 100 partecipanti, è stata quanto mai concreta e concorde nel dare avvio con determinazione alla mobilitazione. Tre ore fitte di confronto, venti interventi, zero retorica.
Il compagno della TIR (Tendenza internazionalista rivoluzionaria) che ha aperto i lavori ha riassunto i punti essenziali di inquadramento della guerra in atto in Ucraina, che sono stati assunti, a volte ripresi e sottolineati, dalla quasi totalità degli interventi come base comune di analisi e comune prospettiva di lotta:
1)la guerra in corso in Ucraina tra NATO e Russia è una guerra combattuta da ambo i lati per finalità di sfruttamento e di dominio;
2)essa è un punto di svolta nella storia del mondo contemporaneo in quanto è l’inizio di una furiosa, sanguinosissima, devastante contesa inter-capitalistica, inter-imperialistica, per la rispartizione del mondo;
3)le bandiere dell’auto-determinazione e libertà dell’Ucraina, della guerra santa tra democrazie e autocrazie, così come quelle della denazificazione dell’Ucraina e della costruzione di un armonioso mondo multipolare, sono false insegne di guerra per l’arruolamento al massacro;
4)la guerra in corso è in realtà una guerra contro i proletari, anzitutto ucraini e russi che stanno morendo a frotte sui campi di battaglia, ma anche contro i proletari di tutto il mondo, alle prese con gli effetti materiali e ideologici della guerra: inflazione, difficoltà nei rifornimenti di grano, impennata delle spese militari, veleni nazionalisti a vagonate. Come tutte le guerre del capitale, questo conflitto è un moltiplicatore di oppressione e di sfruttamento, un incitamento ai proletari a farsi la pelle a vicenda per le tasche, la potenza e la gloria dei loro sfruttatori;
5)la guerra tra NATO e Russia in Ucraina, perciò, non è una nostra guerra, è una loro guerra, una guerra degli sfruttatori contro i lavoratori e gli sfruttati, per cui l’unica consegna da dare e attuare è quella di guerra alla guerra, il disfattismo su entrambi i fronti, e – per quello che ci riguarda – il disfattismo nei confronti del capitalismo, dell’imperialismo italiano (che è tale a tutti gli effetti, altro che colonia degli Stati Uniti!), della sua alleanza militare, la NATO, che comporta la lotta contro il governo Meloni – un governo nei confronti del quale c’è tuttora un’incredibile mollezza, nonostante la sua politica aggressivamente anti-proletaria.
Uso il “noi”, ha precisato il compagno, non soltanto con riferimento alla TIR e al SI Cobas che, almeno nella parte più combattiva e cosciente dei suoi proletari, condivide queste posizioni, ma anche con riferimento al confronto con altri organismi e organizzazioni (Iskra, Fgc, FC, Movimento 7 novembre, CSA Vittoria, etc.) che prima nel convegno di Roma del 16 ottobre dello scorso anno, e poi nell’assemblea di Milano dell’11 giugno, hanno definito un punto di vista di classe, internazionalista su questa guerra e lo hanno portato in piazza a Roma il 3 dicembre, e in diverse città a febbraio e il 1° maggio. Il compito, ora, è di portarlo in piazza a Ghedi il prossimo 21 ottobre con ancora maggior forza. Tornare a manifestare contro la guerra in Ucraina e la generale tendenza a una catena di guerre fino al possibile scoppio di una nuova, apocalittica guerra mondiale è urgente perché il conflitto bellico tra NATO e Russia in Ucraina è lontano dal concludersi. E anche se si dovesse arrivare ad un provvisorio armistizio, la tendenza evolutiva di fondo della crisi del sistema sociale capitalistico non muterebbe affatto.
Il perché andiamo a Ghedi è stato illustrato con grande chiarezza da Sauro di Brescia anticapitalista: si tratta della principale base d’attacco dell’aeronautica militare italiana, una base storica, che ha già festeggiato due centenari, e che è sede di decine di bombe atomiche da montare con tecnici italiani su aerei italiani (i 100 addetti statunitensi svolgono semplici funzioni di supporto). Manifestare davanti a quella base esprime bene il principio internazionalista a cui ci atteniamo: “il primo e principale nemico è nel ‘proprio’ paese”.
Il 21, è noto, si manifesterà oltre che a Ghedi, a Pisa e in Sicilia. Agli organizzatori di queste manifestazioni è stato proposto da noi organizzatori di Ghedi di lanciare un appello unitario alla mobilitazione, ma la proposta non è stata accolta. Il che dipende, molto probabilmente, dalle differenti prospettive: è evidente, infatti, che “il no alla guerra”, il nostro “not war, but class war”, e il semplice “no all’escalation” della guerra corrispondono a due linee politiche assai diverse. Nonostante ciò, la manifestazione di Ghedi intende parlare anche a quanti riterranno di andare a Pisa o altrove. Tuttavia, ha sottolineato il compagno della TIR, la nostra ambizione non è così modesta da accontentarsi di questo. Miriamo ad arrivare alla massa delle lavoratrici e dei lavoratori che stanno subendo le conseguenze della guerra, che sono già stati scaraventati in un’economia di guerra, in un contesto di progressivo disciplinamento e militarizzazione tipico delle fasi di preparazione alle guerre, e che ancora non si sono mossi. Miriamo ad arrivare alla massa di coloro che aspirano ad un mondo senza guerre, che vedono la barbarie capitalistica montante, toccano con mano che la civiltà capitalistica è caratterizzata sempre più dall’aggressione distruttiva al lavoro e alla natura, avvertono che questa civiltà è in putrefazione, è da archiviare, ma non sanno come. Miriamo ad arrivare a quanti, in Ucraina e in Russia anzitutto, mettendo a rischio la loro libertà e la loro vita, stanno opponendosi con coraggio a questa guerra reazionaria.
Proprio i nessi tra guerra, economia di guerra, militarizzazione dei rapporti sociali, montante autoritarismo, repressione delle lotte sono stati al centro di molti interventi (dalla Rete dei comitati di lotta di Roma-Viterbo al Comitato 23 settembre, dal Fronte della gioventù comunista a Iskra) che hanno evidenziato la necessità di un’azione di propaganda e agitazione capace di arrivare al più largo raggio possibile di lavoratrici e di donne, le prime a pagare i terribili costi delle guerre, di lavoratori e di giovani. Esemplare nel mostrare con efficacia questi nessi è la propaganda del Movimento di lotta dei disoccupati 7 novembre. Un contributo di valore, a riguardo, è stato portato da Antonio Mazzeo che si è concentrato sulla denuncia della militarizzazione delle scuole e delle università, mostrando come è in atto in Italia l’introduzione del “modello Israele” di pervasiva e strutturale formazione dei giovani a considerarsi, ed essere, “soldati della nazione” in servizio permanente effettivo, e nello stesso tempo ad accettare come un dovere nazionale ogni tipo di rapporti di lavoro precari e di sacrifici. Quanto alla giornata del 21, in un clima di confronto senza estremizzazioni e vuote polemiche, si è sottolineata – al tempo stesso – la differenziazione di piattaforme in campo, che non avrebbe senso negare, e la necessità di mantenere aperto il dialogo tra le piazze, tra quanti, purtroppo sono ancora una piccolissima minoranza, si stanno comunque muovendo contro la guerra. Gli interventi del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani e quello di Luca Scacchi di Controvento sono stati forse il punto di equilibrio tra gli accenti più critici verso l’impostazione politica dell’iniziativa di Pisa-Coltano e quelli che, all’opposto, hanno rischiato di sorvolare sulle diversità di impostazione. Tra questi Giorgio Cremaschi di Potere al popolo, che ha partecipato all’assemblea e ha consegnato ad un messaggio in chat la sua critica a quanti “mettono in contrapposizione” le due piazze – lo stesso Cremaschi, peraltro, è stato tra i primi a dichiarare l’adesione di Potere al popolo alla manifestazione di Ghedi come a quella di Pisa, di cui PaP è tra gli organizzatori. Una posizione espressa anche da Fgc e FC, che però non hanno nascosto la loro maggiore vicinanza alla piattaforma di Ghedi.
Un altro tema fondamentale ha segnato l’assemblea: lo strettissimo legame tra lo sciopero generale indetto il giorno 20 da gran parte del sindacalismo di base e l’iniziativa a Ghedi. Ne ha parlato nella relazione introduttiva il compagno della TIR sottolineando come la classe lavoratrice sia stata in passato e resti tuttora il fulcro sociale della lotta di classe contro il capitalismo e contro le guerre del capitale, la classe senza di cui nulla è possibile. Qui in Italia lo è in particolare quel proletariato multinazionale della logistica protagonista di un ciclo decennale di lotta, composto da molti che hanno vissuto in prima persona l’orrore delle guerre scatenate dalle potenze imperialiste, e sono stati costretti a fuggire da contesti di guerra. Se ci fosse stato bisogno di dimostrare le ragioni di questa centralità, esse sono state ampiamente esposte dagli interventi di alcune avanguardie di lotta della logistica organizzate nel SI Cobas (Asmeron, Arafat, Papis, Karim) con parole dirette, limpide nel loro contenuto di classe, forti, che hanno segnato i momenti di massima intensità dell’assemblea.
Una questione spinosa, e molto concreta, è stata posta dal compagno Michele intervenuto per confermare la attiva partecipazione di Plat di Bologna al corteo di Ghedi: quella di svolgere un’attività di solidarietà con i fuoriusciti e i disertori ucraini e russi, come espressione di un lavoro organizzato.
Roberto Luzzi (responsabile del lavoro internazionale del SI Cobas, militante della TIR) ha illustrato un altro versante del lavoro di questi mesi e della stessa manifestazione di Ghedi: l’obiettivo di costruire un coordinamento internazionale di azione contro la guerra in Ucraina e la tendenza alla guerra attraverso la moltiplicazione, negli ultimi tempi quasi frenetica, dei rapporti internazionali – in particolare in America del Sud, in Germania e in altri paesi europei dell’Ovest e dell’Est. Stiamo svolgendo questo lavoro sulla base della discriminante politica fondamentale di questo momento storico – quale posizione si è assunta davanti alla guerra in corso tra NATO e Russia – e consapevoli che tutte le aree ideologico-politiche (anarchiche, emmelle, staliniste, trotskiste, internazionaliste) si sono spaccate su posizioni contrapposte di opposizione di classe o di compartecipazione alle mobilitazioni di guerra. Ha infine ribadito con forza ciò che già era stato detto nell’introduzione e in altri interventi, e cioè che la manifestazione di Ghedi contro il governo Meloni e la NATO, è al tempo stesso contro entrambi i fronti di guerra; quindi non potrà accettare né bandiere ucraine, né bandiere russe, né a maggior ragione le bandiere tricolori di questa squallida Italia corresponsabile e profittatrice di tutte le disgrazie altrui.
La riuscita dell’assemblea di domenica rappresenta una buona premessa del lavoro di preparazione e di costruzione della mobilitazione del 21 ottobre a Ghedi. Sta ora a tutti noi far sì che nelle prossime settimane questa mobilitazione si sviluppi (con iniziative cittadine) e si allarghi a tutti quei settori di proletari e di attivisti sensibili alle ragioni e alle parole d’ordine contenute nell’appello di indizione.
[Resoconto a cura di PungoloRosso]