Il 7 giugno è stato firmato un protocollo d’intesa per la legalità tra la Società Interporto e la prefettura di Bologna. Si tratta dell’ultimo atto di un percorso iniziato il 5 aprile 2018, con la firma di un primo protocollo che ha visto un successivo passaggio intermedio con la Carta Metropolitana della Logistica Etica, in gennaio di quest’ anno. La prima domanda che viene da porsi è in che cosa si sia tradotto l’intervento istituzionale a salvaguardia della legalità e della sicurezza sul lavoro. In concreto, assolutamente il nulla, in continuità con la tradizionale latitanza istituzionale sia da parte dell’ente locale che dei soggetti preposti a presidio della sicurezza.
Nel frattempo, come avviene nel comparto della logistica, il sistema dell’appalto e del subappalto ha avviato un processo di precarietà contrattuale in un quadro di sostanziale assenza di misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni, con il corollario di una morte sul lavoro nell’ottobre 2021 e diversi infortuni.
Un simile stato di cose ha provocato la reazione e l’opposizione di facchini e facchine, organizzati nei sindacati di base, che hanno scoperchiato il vaso di pandora, facendo emergere tutta la realtà di sfruttamento che caratterizza l’impianto interportuale.
Per la prima volta, con la Carta Metropolitana della logistica etica il comune di Bologna sembra prendere l’iniziativa, ma si tratta di un libro dei sogni, e cioè, sottolineiamo nuovamente, di un intervento sostanzialmente formale e senza conseguenze immediate, che invece registriamo nel dibattito sviluppatosi all’atto della riedizione del nuovo protocollo odierno, che punta nei fatti ad inserire il comparto della logistica all’interno dei settori soggetti alla applicazioni della Legge 146/1990 e sue integrazioni, di una legge cioè, come noto limita fortemente l’esercizio del diritto di sciopero. Infatti, revoche e differimenti dell’astensione collettiva, previsti da tale legge, pregiudicano l’efficacia dello sciopero, il cui esercizio è spesso legato a circostanze contingenti. Gli esempi non mancano: scioperi per mancata o parziale corresponsione delle retribuzioni, per mancato rispetto delle clausole sociali, o a seguito di licenziamenti collettivi.
In definitiva, revoca o differimento della data dello sciopero azzerano gli effetti dello stesso a tutto vantaggio delle imprese.
Il tentativo di ingabbiare le risposte dei lavoratori nonostante la quotidiana e arrogante offensiva padronale è reale, in considerazione del fatto che art. 1 della Legge 146/1990 prevede due ambiti di applicazione: il primo, dotato di tassatività, fa riferimento ai diritti costituzionali, il secondo è l’insieme dei servizi essenziali, di natura esemplificativa, il cui eventuale ampliamento è di competenza della Commissione di garanzia e delle parti sociali.
E’ quindi necessario vigilare e prepararsi al conflitto, che si preannuncia inevitabile.
Corrispondenza da Bologna