Andros Payiatsos – Internationalist Standpoint – 8 gennaio 2025
Riteniamo questo articolo sulle recenti vicende siriane interessante: in particolare, la sua impostazione di fondo ci sembra corretta e importante, in quanto ribadisce l’importanza di mantenere l’autonomia della classe lavoratrice e del suo progetto di trasformazione sociale (al di là delle specifiche valutazioni sulle dinamiche dei conflitti in corso, su cui si possono essere punti di vista diversi).
Non c’è dubbio che la caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria, l’8 dicembre 2024, abbia suscitato preoccupazione e confusione in milioni di persone, non solo in Medio Oriente, ma anche a livello internazionale. Il motivo principale è che pur essendo una dittatura brutale, era vista da molti come un alleato del popolo palestinese che sta vivendo l’incubo del genocidio inflittogli dallo Stato israeliano in stretta collaborazione con i suoi alleati “democratici”, “liberi” e “civili” dell’Occidente.
Questo quadro contraddittorio si riflette nella sinistra anticapitalista, marxista o sedicente marxista.
Così da un lato vediamo opinioni che sostengono indirettamente o direttamente il regime di Assad quale “antimperialista” (cioè contro gli Stati Uniti e la UE), dall’altro opinioni che ne supportano il rovesciamento, perché un brutale regime dittatoriale è stato rovesciato e si prospettano giorni migliori per il popolo siriano.
A nostro avviso entrambi questi approcci sono sbagliati. Le organizzazioni della classe operaia ed in particolare le organizzazioni della sinistra anticapitalista non devono obbligatoriamente scegliere da che parte stare se la scelta è tra l’incudine e il martello, cioè quando si tratta di un conflitto tra forze reazionarie, tra diversi rappresentanti degli interessi capitalisti ed imperialisti. Al contrario, in questi casi la sinistra deve tracciare un percorso indipendente e avanzare le proprie proposte indipendenti basate sugli interessi di classe.
Di seguito vogliamo esporre in dettaglio le questioni sollevate dagli sconvolgimenti in Siria
1. Perché il regime è crollato così rapidamente?
Negli ambienti della sinistra sono seguite diverse analisi sul crollo del regime di Assad che hanno posto l’accento sul ruolo svolto dalle potenze occidentali e da altre forze esterne come Israele e Turchia. Questi fattori hanno effettivamente giocato un ruolo, ma non quello decisivo. Queste opinioni non colgono il punto più importante: il regime è crollato “dall’interno” come un castello di carte.
È stato uno sviluppo che nessuno si aspettava. Non solo il regime stesso, non solo i suoi alleati (Russia, Iran, Hezbollah, ecc.), ma anche i suoi nemici in occidente, tutti sono stati colti di sorpresa. I media occidentali non hanno cercato di nascondere la loro sorpresa per la caduta di Assad. I servizi di intelligence erano all’oscuro di tutto. Le milizie di Hayat Tahrir al-Sham, (HTS), che avevano lanciato la loro offensiva da Idlib nel nord-Ovest, per poi spostarsi ad Aleppo e quindi a Damasco via Hama e Homs (vedi mappe), così come i loro alleati in altre zone della Siria che avevano pianificato un assedio congiunto a Damasco, sono rimasti sopresi quando hanno visto che l’HTS stava facendo “una passeggiata” senza incontrare alcuna resistenza.
Secondo le stime esistenti le milizie dell’HTS e dei suoi alleati non superavano i 10/30 mila uomini (non sono state riportate cifre più precise dai media). In altre circostanze si sarebbe trattato di una forza insignificante rispetto alle forze di sicurezza di uno stato di 25 milioni di abitanti. Eppure hanno impiegato solo 12 giorni per portare a termine la marcia verso Damasco e secondo l’Economist il numero di uomini armati dell’HTS che hanno “occupato” Damasco non superava le 1.200 unità.
In altre parole, semplicemente non c’erano forze disposte a sostenere il regime. Questo può essere spiegato solo da un fattore: il totale isolamento sociale del regime.
La spiegazione non è difficile da immaginare: oltre 13 anni di guerra civile, repressione, torture, incarcerazioni, 580.000 morti, 6,7 milioni di sfollati forzati in altri paesi, milioni di sfollati interni. La lira siriana ha subito la perdita del 99% del suo valore, il PIL è crollato da 65,5 miliardi di dollari a soli 9 mld – un crollo del 85% – , mentre più del 90% del popolo siriano vive in povertà.
Alla fine si è scoperto che il regime è riuscito a mantenere il potere solo grazie al sostegno militare delle forze russe e delle milizie di Hezbollah. Il coinvolgimento della Russia in Ucraina e le sconfitte militari inflitte da Israele a Hezbollah hanno lasciato il regime nudo e paralizzato.
Il crollo della dittatura di Assad era ciò che ogni dittatura odiata dalle classi popolari meritava. La sinistra deve smettere di sostenere tali regimi – alla fine questo la espone e la indebolisce. E d’altra parte non sostenere il regime di Assad non significa sostenere gli imperialisti occidentali e/o l’HTS in nome della “democrazia”. Per il popolo siriano, il giorno dopo non porterà nulla di buono: né democrazia, né libertà, né pace, né prosperità.
Il 26 novembre l’esercito siriano sotto il controllo di Assad occupava la maggior parte del paese (zone in rosso). Solo 12 giorni dopo la maggior parte de territorio era sotto il controllo dell’HTS e dei suoi alleati. I sostenitori di Assad erano stati ridotti a un’area molto piccola nella Siria occidentale, sulla costa mediterranea
2. Cosa ci riserverà il giorno successivo l’HTS nel governo?
HTS è un’organizzazione islamista (ufficialmente elencata come organizzazione terroristica in Occidente) e il suo leader, Abu Mohammed al-Golani (o Ahmed al-Saraa, il suo vero nome), è un terrorista ricercato. Negli ultimi anni, ma soprattutto da quando ha preso il potere all’inizio di dicembre, Golani indossa un abito occidentale e incontra i diplomatici europei, cercando di dimostrare che lui è un modernista e che non hanno nulla da temere da lui e dalla sua organizzazione.
L’EU e gli USA stanno giocando allegramente questo gioco, cercando di ritrarre Golani e HTS come forze moderate e concilianti. Questo è solo un altro esempio dell’ipocrisia dell’Occidente.
Golani ha dichiarato di aver abbandonato al-Qaeda e l’ISIS (Stato islamico) da cui proviene, ma non ha mai dichiarato di aver abbandonato le idee fondamentaliste islamiche, cioè l’obiettivo di costruire uno stato basato sulla legge dell’Islam (Shari’a) piuttosto che su qualsiasi tipo di procedura democratica che possa consentire una qualche forma di partecipazione da parte della società. Per organizzazioni come HTS la legge di Dio è al di sopra delle leggi umane.
Anche se si suppone che Golani stesso sia mutato e abbia abbandonato le idee fondamentaliste islamiche (cosa improbabile), non ci si può aspettare lo stesso da HTS nel suo insieme e dalle forze ad esso alleate. In generale perché un’organizzazione islamica come l’HTS abbandoni la legge islamica, dovrebbe passare per una sorta di guerra civile interna. Questo non sembra essere all’ordine del giorno.
In altre parole, la prospettiva più probabile è che HTS instauri un nuovo regime dittatoriale islamico, anche se le sue caratteristiche esatte ancora non sono chiare. I regimi islamici possono assumere forme diverse, come dimostrano gli esempi di Afghanistan, Iran e Arabia Saudita.
La sinistra che vede qualcosa di progressista nel rovesciamento di Assad si illude. Non c’è modo per il popolo siriano di sperimentare la democrazia, la libertà, la pace e anche una limitata uguaglianza (di etnie, religioni e generi) sotto HTS.
3. Una politica di equidistanza? No, una politica di proposta alternativa
La critica abituale che riceviamo quando diciamo che non dobbiamo scegliere da che parte stare in un conflitto inter-capitalista o inter-imperialista è che si tratta di una politica di equidistanza (o di neutralità) e quindi l’incapacità a prendere posizione sulle questioni specifiche e urgenti che la società deve affrontare. Questo tipo di critica ritiene che sia imperativo scegliere una parte.
Tali critiche non hanno senso: la vera questione è se le nostre opzioni dovrebbero limitarsi a scegliere uno dei due schieramenti reazionari o se c’è una terza opzione che serva gli interessi della classe operaia (e i valori della sinistra radicale/ socialista).
Noi scegliamo la seconda. Sosteniamo che la sinistra deve presentare le proprie posizioni e analisi, indipendenti dalle due forze reazionarie, il dittatore Assad da una parte e gli islamisti dall’altra.
4. Cosa significherebbe in pratica in Siria?
Siamo concreti e pratici. Come dovrebbero agire i marxisti se fossero presenti in Siria?
Se la sinistra rivoluzionaria avesse una presenza significativa in Siria o almeno in una regione della Siria dove esercitasse il controllo con le proprie milizie (come i curdi a nord e ad est, le milizie filo-turche nelle enclave a nord, i drusi a sud, ecc.), allora dovrebbe costruire il modello della sua società in quella parte del paese. E dovrebbe usarlo come esempio per le altre minoranze etniche o religiose in altre parti della Siria, per la classe operaia nel suo complesso, proponendo questo modello per l’intero paese (e anche i popoli vicini) e usando le sue milizie armate per difenderla da inevitabili attacchi.
Questa è un’astratta impossibilità? Vediamo cosa ci può insegnare l’esempio di Rojava in Siria. Rojava è la regione della Siria nord-orientale sotto il controllo curdo. Rojava significa “Kurdistan occidentale”. Nel 2015 i curdi si sono uniti alla lotta contro lo Stato islamico (ISIS) per difendere la loro terra, la loro autonomia e la loro storia. La loro vittoria sull’ISIS è stata storica: è stata la prima grande sconfitta dell’ISIS (con una stima di 10.000 morti). La milizia curda si è schierata sui loro territori e ha costruito una regione autonoma con democrazia, libertà ed uguaglianza (etnica e di genere) molto più avanzata di quanto altro esista nel resto del Medio Oriente.
Nel Rojava non sono mai state nazionalizzate le unità economiche di base della società, non si sono mai gettate le basi per il potere dei lavoratori, non perché non potesse, ma perché la leadership del movimento curdo non ha voluto spingersi così lontano.
Ma il suo esempio mostra (come ipotesi di lavoro) che se ci fosse un partito della sinistra rivoluzionaria in Siria, anche se limitato a poche aree o parti del territorio del paese, potrebbe gettare le basi, basate sulla libertà e l’uguaglianza delle religioni, etnie e generi, sotto il controllo democratico della società, per la transizione verso una società socialista in cui l’economia sia gestita e serva il popolo e non i monopoli per il profitto. Potrebbe difendere le sue conquiste con le armi e combinarle con un appello di classe ai lavoratori del resto della Siria e un appello internazionalista ai paesi confinanti e oltre.
Se non ci fosse una sinistra rivoluzionaria di massa (come oggi), ma solo (sempre come ipotesi di lavoro) piccoli gruppi o singoli quadri, quali sarebbero i loro compiti?
Ancora una volta, non dovrebbero cercare di scegliere tra Assad e gli islamisti, ma dovrebbero iniziare una corsa contro il tempo proponendo la loro propria alternativa, cercando di rafforzare le proprie forze con l’obiettivo di costruire un movimento rivoluzionario di sinistra di massa, come unico modo per porre fine all’incubo che la popolazione della regione vive quotidianamente.
Lo stesso, ovviamente, è il compito all’estero: i marxisti devono spiegare quale modello di società dovrebbero sostenere le organizzazioni politiche della classe operaia, cosa la sinistra dovrebbe proporre sia in opposizione al modello di Assad sia a quello Golani. Non dovrebbe certamente sostenere l’uno contro l’altro.
5. Assad è antimperialista?
L’argomento di molti attivisti di sinistra che assumono una posizione pro-Assad è che non sostengono il regime di Assad “a livello sociale” perché è una dittatura, ma lo sostengono a livello geopolitico perché resiste ai piani degli imperialisti statunitensi/occidentali.
Secondo questa tesi, il regime di Assad era reazionario a livello sociale, ma progressista sul piano degli antagonismi geopolitici. Ed ecco un grave pasticcio di posizioni e una grande contraddizione: può un regime essere reazionario sul piano sociale, ma progressista su quello geopolitico.
Il fatto che Assad fosse dalla parte di Russia, Cina, Iran, ecc. non rende il suo regime in alcun modo “progressista”. La concorrenza “Ovest-Est”, chiamiamola così, è una competizione su base capitalistica, tra i vecchi imperialisti (USA, UE, Gran Bretagna) che stanno perdendo terreno, e i nuovi imperialisti (Cina, Russia, ecc.) che stanno minacciando il potere dei governanti finora assoluti. È molto diverso dal vecchio conflitto ideologico, politico ed economico tra le economie pianificate del blocco sovietico (e in parte anche della Cina) da un lato e le economie capitalistiche occidentali dall’altro che durò fino al 1989.
Nel conflitto tra due blocchi imperialisti, la sinistra non dovrebbe sostenere un imperialismo contro l’altro.
Ciò non significa naturalmente che non debba utilizzare l’antagonismo tra le potenze imperialiste per promuovere gli interessi del proprio popolo, per rafforzare le proprie posizioni e costruire alleanze con forze (internazionali) che cercano anch’esse un “percorso indipendente” al di là di quelli degli imperialisti. Ma questa è un’altra questione, un’altra discussione.
La superficialità e l’inefficacia dell’argomento a favore dell'”antimperialismo” di Assad è dimostrata dalla stessa esperienza siriana. Il regime di Assad, essendo completamente reazionario a “livello sociale”, ha alienato le masse siriane a tal punto che è bastato un colpo di vento perché che collassasse, permettendo agli imperialisti occidentali di tornare indietro senza dover sparare un colpo. Questo tipo di “antimperialismo” non indebolisce veramente l’imperialismo occidentale, ma lo rafforza.
6. Non dimenticare mai l’Iran del 1979
Chi a sinistra vede nel rovesciamento di Assad da parte degli islamisti uno sviluppo positivo che apre nuove possibilità per il popolo siriano, dovrebbero ricordare l’esempio della rivoluzione iraniana.
Nel 1979 il regime dello Scià fu rovesciato da una grande rivoluzione delle masse lavoratrici. La sinistra sostenne i mullah di Khomeini come migliore alternativa allo Scià, invece di proporre la prospettiva del potere socialista dei lavoratori combinato con l’autodeterminazione delle nazionalità, in particolare dei curdi. Il sostegno era la posizione del partito comunista filo-sovietico (Tudeh), delle milizie curde (Fedayeen) e persino della sezione trotskista del Segretariato unito della Quarta Internazionale, che all’epoca aveva una presenza in Iran (i dissidenti di quella sezione ruppero e ora appartengono alle file di Internationalist Standpoint).
Il risultato fu che non appena Khomeini si stabilizzò, si rivoltò contro la sinistra e la distrusse. La sinistra iraniana, 45 anni dopo, non si è ancora ripresa da quel colpo.
Se, in condizioni di crisi rivoluzionaria, la sinistra non si pone l’obiettivo del potere e del rovesciamento del capitalismo, ma cerca invece di trovare i settori della classe dominante da sostenere, pagherà alla fine un prezzo molto alto, spesso con la vita dei suoi membri e quadri.
7. Il popolo palestinese non si deve aspettare nulla dall’HTS
Una delle caratteristiche più evidenti del nuovo regime islamico in Siria è il suo abbandono del popolo palestinese.
Ci sono molte interviste e dichiarazioni in cui il nuovo regime di Damasco fa aperture a Israele. In un recente esempio, il nuovo governatore di Damasco, Maher Marwan, parlando a nome di al-Golani, ha detto in un’intervista alla rete americana NPR:
“Israele può aver avuto paura. Così ha avanzato un po’, bombardato un po’, ecc… Non abbiamo paura di Israele e il nostro problema non è con Israele… non vogliamo immischiarci in qualcosa che minacci la sicurezza di Israele o di qualsiasi altro paese… vogliamo la pace e non possiamo essere un avversario di Israele o un avversario di nessuno”
Queste dichiarazioni sono una pugnalata alle spalle del popolo palestinese.
La Siria è un campo di interessi in competizione, non solo locali ma anche internazionali/geopolitici. Israele non ha bombardato Damasco “un po’ ” , ha inferto un colpo enorme alle capacità di difesa della Siria. Ha distrutto le sue difese aeree, tutte le sue basi missilistiche e la sua marina! La nuova leadership islamista in Siria non solo non ha saputo opporre la minima resistenza agli attacchi israeliani, ma si comporta anche come se non capisse cosa sta succedendo intorno a sé.
8. Non ci può essere un’unificazione pacifica della Siria
Le forze dell’HTS dominano la Siria occidentale, ad ovest dell’asse Idlib-Aleppo-Hama-Homs-Damasco. Ma la maggior parte della Siria è fuori dal loro controllo effettivo e sono in trattative con le altre forze che controllano le diverse parti della Siria al fine di mantenere il potere centrale.
Il nord-est è dominato dalle milizie curde, le Forze Democratiche Siriane, che controllano circa il 25% del paese con il sostegno occidentale (finora). Nel nord ci sono aree molto importanti dominate dall’Esercito Nazionale Siriano controllato dalla Turchia. Nel sud-ovest (al confine con l’Iraq e la Giordania) vi è una varietà di milizie (circa 50) che insieme formano il cosiddetto Fronte Del Sud-Cristiano, drusi e altri – molti dei quali temono l’ascesa degli islamisti e cercano alleanze per proteggersi. Alcuni (Drusi) si rivolgono a Israele, chiedendogli di incorporare la loro terra. C’è anche l’ISIS (Stato islamico), che dalla caduta di Assad è riuscito ad espandere leggermente le aree sotto il suo controllo.
Per quanto riguarda le forze esterne, Israele ha approfittato della crisi per espandere i territori che detiene in Siria – le alture del Golan – e conquistare nuovi territori in direzione di Damasco, da cui dista solo poche decine di chilometri. Anche Russia e Stati Uniti hanno una presenza militare (basi).
Infine dovremmo probabilmente lasciare aperta la possibilità che le forze leali ad Assad, attualmente confinate in piccole sacche a ovest, possano mantenere una parte di territorio e tentare di riorganizzarsi.
Le differenze tra tutte queste forze sono così grandi che non sarà facile accettare un unico centro di potere. Gli scontri militari sembrano inevitabili, anche se non è possibile prevedere l’esatta portata in questa fase.
9. Vincitori e vinti
L’esito della guerra civile siriana non è un grande successo per l’Occidente come i media occidentali cercano di far credere, né una sconfitta strategica per il blocco Russia-Cina.
È ovviamente un successo per l’Occidente nel senso che indebolisce i suoi rivali nella regione, ma non crea uno stato fedele all’Occidente. È una grave battuta d’arresto per la Russia, ma è ragionevole aspettarsi che il nuovo regime tagli i legami con la Russia e la Cina, come vorrebbe l’Occidente. Per quanto la situazione sia fluida, e dovremmo essere aperti a tutte le possibilità, è probabile che i nuovi governanti in Siria cerchino di mantenere relazioni con tutte le parti.
I due principali vincitori dalla caduta del regime di Assad sono la Turchia e Israele.
I principali perdenti sono l’Iran e i suoi alleati (Hezbollah in Libano, gli Houthis nello Yemen e Hamas in Palestina).
10. Turchia
L’HTS ha agito come alleato di Ankara nel processo di rovesciamento di Assad, pur non appartenendo alle milizie strettamente e direttamente controllate dal regime di Erdogan (L’esercito Nazionale Siriano). La vittoria della HTS è stata presentata trionfalmente in Turchia come una vittoria non solo del popolo siriano ma anche di quello turco.
Le relazioni tra HTS e la Turchia sono così strette che è abbastanza chiaro che la Turchia giocherà un ruolo diretto nella politica del nuovo regime.
Il fatto che la Turchia svolgerà un ruolo molto importante come alleato più stretto del regime, tuttavia, non significa che il nuovo regime siriano sarà nell’orbita dell’Occidente (come alcuni a sinistra sostengono). La Turchia è una potenza regionale molto potente che non è controllata dall’Occidente; ha una propria agenda e una sua politica autonoma e sta manovrando tra gli interessi delle grandi potenze: Occidente, Russia e Cina.
Nel nord della Siria è già iniziata l’offensiva dell’Esercito Nazionale Siriano, sostenuto dalla Turchia, contro le milizie curde. Erdogan, le cui ambizioni imperialiste sono state rafforzate dalla vittoria dei suoi alleati dell’HTS, ha già minacciato i combattenti curdi delle Forze Democratiche Siriane di deporre le armi o di essere sepolti con esse.
I curdi, ovviamente, non depongono le armi. Dopo decenni (secoli, in realtà) di oppressione sono riusciti a conquistare una certa autonomia sui territori in Siria e in Iraq, non si arrenderanno semplicemente a Erdogan, li difenderanno. Hanno dimostrato più volte di essere guerrieri esperti soprattutto nella loro lotta contro l’ISIS e le forze di Assad. D’altra parte non bisogna sottovalutare i colpi che l’esercito turco è capace di infliggere al movimento curdo.
Nel prossimo periodo, è molto probabile che la sinistra internazionalista mondiale dovrà mostrare la propria solidarietà ai curdi siriani in lotta e al loro diritto all’autodeterminazione contro la macchina da guerra turca. Il fatto che i curdi siano armati dagli Stati Uniti in questa fase non deve indurre la sinistra ad abbandonare le sue posizioni internazionaliste.
11. Israele
Israele è il secondo grande vincitore perché il crollo di Assad indebolisce il cosiddetto “asse della resistenza” tra Iran, Siria, gli Houthis in Yemen, Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza.
Sebbene politicamene Israele sia isolato a livello internazionale a causa della sua offensiva genocida su Gaza (e insieme a Israele i suoi alleati negli Stati Uniti e in Europa devono affrontare un’analoga rabbia a livello internazionale) militarmente è un chiaro vincitore, avendo inferto gravi colpi prima a Hamas e poi a Hezbollah.
Questo non significa certamente la fine di Hamas o Hezbollah, ma è chiaro che le loro tattiche e metodi non offrono una via d’uscita al popolo palestinese; non c’è modo che possano portare alla sconfitta dello stato israeliano.
Subito dopo la caduta di Assad Israele si è espanso nella Siria sud-occidentale, ampliando l’occupazione delle alture del Golan, entrando quasi nella periferia di Damasco e proclamando che le alture del Golan non saranno mai restituite alla Siria.
Secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, una nave da guerra israeliana ha ricevuto l’ordine di attaccare la flotta siriana. La sua missione era di effettuare attacchi missilistici di precisione su 15 navi da guerra, che rappresentavano la maggior parte della forza navale siriana. Le 15 navi sono state colpite e affondate in pochi minuti! Allo stesso modo Israele sostiene di aver distrutto la difesa aerea, l’aviazione e le basi missilistiche della Siria.
Israele ha anche attaccato l’Iran in due ondate distinte.
Nella prima fase, l’Iran ha risposto (il 1° ottobre) inviando centinaia di droni e proiettili, molti dei quali sono penetrati nelle difese aeree di Israele (il cosiddetto Iron Dome – Cupola di Ferro), con grande irritazione del regime di Netanyahu. Israele ha risposto il 26 ottobre con una seconda ondata di attacchi aerei contro obiettivi e installazioni militari. L’Iran ha risposto con minacce roboanti, ma a distanza di mesi non ha fatto alcun tentativo di rappresaglia!
Una parte della sinistra sembra riluttante a riconoscere il fatto che Israele è in grado di affrontare militarmente i suoi rivali su più fronti contemporaneamente, anche se questo è già stato dimostrato in tre guerre con il mondo arabo in passato. Ciò è ovviamente dovuto al pieno sostegno dell’imperialismo occidentale. Questi settori della sinistra non sembrano disposti a ammettere che Israele ha vinto militarmente l’attuale conflitto, per tanto che la cosa è spiacevole o proprio perché lo è troppo. Ma la sinistra non può procedere sulla base di approcci emotivi, ha bisogno di un approccio pragmatico basato sulla realtà oggettiva. Solo così potrà trarre le giuste conseguenze politiche.
12. “L’Asse della resistenza”
L’Asse della resistenza è un’alleanza di forze con l’Iran che comprende, come detto sopra, gli Houthis in Yemen, Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina e forze islamiste simili in Iraq e Siria (e sino alla sua caduta il governo di Assad).
Alcuni settori significativi della sinistra sono tolleranti o addirittura sostengono questo “asse” o almeno si rifiutano di criticarlo a causa del presunto ruolo antimperialista che svolge.
Ma in che misura questo Asse è antimperialista? Dobbiamo partire dal fatto che queste forze hanno instaurato (nel caso dell’Iran) o sono a favore alla creazione (nel caso degli altri gruppi islamici) di regimi religiosi basati sulla Shari’a, il che significa che le leggi di Dio, presumibilmente descritte nel Corano, sono superiori alle leggi degli uomini e vengono loro imposte attraverso, ovviamente, la casta dei chierici che detiene il vero potere.
Quanto questo approccio può realmente minare i colonialisti/imperialisti negli USA e nell’UE?
Quanto possono essere attraenti queste idee per i popoli non musulmani di Africa, America Latina e Asia? E inoltre, tollerare o sostenere queste forze porta la sinistra in conflitto con ampi settori delle masse, in realtà i più militanti, nei paesi in cui l’Islam è la religione dominante. L’Iran ne è l’esempio più caratteristico: qui la classe operaia, i giovani e le donne conducono da molti anni lotte eroiche contro un regime spietato.
La sinistra ha la responsabilità di prendere una posizione chiara a favore del rovesciamento di questi regimi, senza nascondersi dietro il loro presunto carattere antimperialista. Questa è una condizione preliminare per prendere una posizione coerente contro l’imperialismo occidentale e per convincere i movimenti popolari e operai nei paesi in cui interviene, sia ad est che ad ovest, delle sue posizioni.
Se la sinistra non sostiene la lotta dei movimenti operai, giovanili e femminili contro gli islamisti in diversi paesi, allora l’unica alternativa che rimane loro è quella di rivolgersi ai presunti governi “democratici” dell’Occidente.
La sinistra può e deve sostenere la lotta del popolo palestinese, dei popoli del Libano e dell’Iran, ecc., ma questo non deve tradursi in un sostegno alle forze che guidano questi paesi. Al contrario, deve tradursi in una critica dei metodi e delle tattiche di questi leader.
E deve essere accompagnata dall’alternativa proposta dalla sinistra, che non può essere altro che la libertà dalle catene imperialiste, il rispetto dei diritti democratici, sindacali e umani, l’uguaglianza di genere, l’autodeterminazione delle nazionalità oppresse, il potere operaio e il socialismo.
13. L’Ipocrisia occidentale
Non appena l’HTS è salito al potere, i governi europei hanno sollevato la questione di bloccare la concessione dell’asilo ai rifugiati siriani.
Grecia e Gran Bretagna sono state le prime a reagire, l’Austria ha proposto “rimpatri e deportazioni organizzati “, in Germania un ex ministro ha proposto di dare loro 1.000 euro e un volo charter e così via.
Sembra che per gli europei “illuminati” gli islamisti HTS siano un regime che fornisce le libertà e la sicurezza necessarie, soprattutto per le donne, le diverse nazionalità e religioni.
È difficile descrivere a parole tanta ipocrisia, tante bugie, tanta distorsione della realtà evidente.
14. Conclusioni
Da tutto ciò si possono trarre alcune conclusioni fondamentali.
La regione rimane instabile come prima della caduta di Assad. Nessun problema, né per il popolo siriano né per la regione sarà risolto dal rovesciamento del regime di Assad.
È stato dimostrato ancora una volta che Israele non può essere sconfitto militarmente da una coalizione di stati arabi o islamici. L’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023 non ha portato i risultati attesi da molti palestinesi. Ha aperto un enorme ciclo di spargimento di sangue per il quale le masse palestinesi hanno pagato e continuano a pagare un prezzo enorme.
Allo stesso tempo, Israele è uscito rafforzato dal confronto militare, mentre il cosiddetto “asse della resistenza” è stato indebolito. Dal punto di vista politico tuttavia Israele è isolato a livello internazionale come non lo era mai stato. Insieme ad Israele, anche le potenze che lo sostengono – gli Stati Uniti e le potenze europee – hanno visto aumentare il loro isolamento.
Questa situazione accelera lo sviluppo di una coscienza radicale di sinistra a livello internazionale e questo è molto importante. Ma la maturazione di questi processi richiede tempo e acquisterà un reale significato pratico solo quando si rifletterà nella creazione/emersione di nuove formazioni della sinistra radicale/socialista a livello internazionale, riempiendo l’enorme vuoto che esiste oggi nella sinistra.
Il capitalismo non può fornire alcuna soluzione ai problemi della regione. Questo deve essere il punto di partenza per le posizioni della sinistra e con questo intendiamo soprattutto la sinistra anticapitalista, perché i partiti tradizionali di sinistra sono degenerati da tempo.
La sinistra deve prendere una posizione completamente indipendente dalle forze capitaliste e avanzare la propria proposta di classe, internazionalista, rivoluzionaria. Questo non può essere che una: la lotta di classe comune dei popoli della regione contro l’imperialismo, l’oppressione nazionale, i dittatori locali e gli islamisti, con l’obiettivo del potere operaio e del socialismo.
Era un tempo impensabile che la sinistra, non solo quella marxista. ma anche quella tradizionale/riformista, non proponesse la visione del socialismo. Oggi questa visione (anche in termini di propaganda) è stata abbandonata.
La sinistra marxista, che è in crisi a livello internazionale, deve ricordare le sue tradizioni rivoluzionarie e proiettare la prospettiva socialista con coraggio e ottimismo. Questo per un motivo innegabile: è l’unica strada percorribile per l’umanità, l’unica via per evitare la barbarie cui il capitalismo sta portando la vita sulla terra.
Per la sinistra marxista non è sufficiente parlare in termini generali a favore della rivoluzione. Abbiamo avuto molte rivoluzioni in passato e ne avremo molte altre in futuro. Nel 2011 abbiamo avuto sviluppi rivoluzionari nella regione (la “primavera araba”) che hanno coinvolto anche la Siria. Ma la rivoluzione non ha vinto, anzi ha aperto la strada allo Stato islamico in Iraq e Siria e a quasi 14 anni di guerra civile (finora). L’insurrezione rivoluzionaria è stata sconfitta proprio perché non c’erano forze politiche che lo conducessero verso il potere operaio e il socialismo. Come marxisti abbiamo il dovere di costruire queste forze. A partire dai paesi in cui viviamo e lottiamo. E questo è un aspetto che certamente contribuirà in modo determinante alla costruzione di forze rivoluzionarie anche nei paesi del Medio Oriente, rendendo la visione di un’alternativa società socialista una prospettiva realistica.