Il volantino di ControVento per il 29 novembre in PDF
Lo sciopero generale del 29 novembre
contro austerità ed economia di guerra
Le ragioni di uno sciopero generale sono oggi nelle cose.
L’Unione Europea, dopo gli anni straordinari della pandemia e dell’inflazione, ha ripreso le sue politiche di austerità con il nuovo patto di stabilità: la competizione mondiale sempre più affannosa tra i principali poli capitalistici (USA, UE e CINA) viene scaricata ancora una volta sui salari diretti (stipendi), indiretti (pensioni) e sociali (servizi universali). Per l’Italia si prevedono tagli della spesa di 12 miliardi di euro ogni anno, per i prossimi 7 anni e tra loro sommativi. Una politica economica che si affianca al taglio strutturale subito dalle buste paga con il passato picco inflattivo e alla pressione per aumentare ritmi e intensità di lavoro, al fine di garantire profitti in una fase di ristrutturazione e crisi.
Il nuovo orizzonte di guerra globale sta plasmando economie e società. L’invasione dell’Ucraina ha aperto una nuova stagione di imperialismo di attrito, con la trasformazione delle aree economiche in blocchi politico-militari, un riarmo generalizzato, una nuova mobilitazione nazionale che attraversa bilanci pubblici, scuole e ricerca. L’uso di missili NATO a lungo raggio e il lancio di missili balistici su Dnepr stendono l’ombra di un’escalation senza senso, mentre il massacro di Gaza, le prospettive di pulizia etnica, il bombardamento indiscriminato in Libano da parte Israele moltiplicano le barbarie del presente. L’Italia, dal Don al Giordano, è pienamente coinvolta in queste dinamiche di guerra.
Le destre reazionarie stanno sviluppando le loro politiche autoritarie e repressive, incapaci di imprimere una diversa gestione capitalistica della crisi nonostante le promesse elettorali, pronte a gestire le lacrime e sangue necessarie e sempre fedeli a quelle logiche di legge, ordine e rispetto dei tradizionali ruoli famigliari che le contraddistingue. Le politiche neoliberiste, la diffusa insicurezza sociale dopo la Grande Crisi, la disorganizzazione della classe lavoratrice hanno sospinto un’onda nera nel mondo (da Trump a Milei, da Le Pen a Modi), che rilancia anche in questo paese iniziative contro i migranti, culture patriarcali, norme che reprimono lotte sociali e sindacali.
Esplode l’evidenza della crisi climatica. Il surriscaldamento globale sta moltiplicando i fenomeni metereologici estremi (incendi, alluvioni, grandinate, tempeste ed uragani). Una dinamica innescata da una ricerca senza fine di nuovo valore. Le gerarchie internazionali e quelle sociali sottese a questo modo di produzione scaricano sulle classi subalterne il costo principale di questi processi, nel macro (la desertificazione in Africa) e nel micro (l’aumento dell’energia e delle assicurazioni). Mentre dalla Cop29 al greenwashing, l’acutizzazione della competizione internazionale travolge ogni possibile prudenza, rilanciando persino il nucleare civile e militare.
Lo sciopero è oggi necessario, per contrastare le scelte del governo e del padronato, che dalla Legge di Bilancio alle politiche contrattuali di Confindustria tengono fermi gli stipendi, tagliano i servizi sociali, spostano le risorse sul riarmo, promuovono nuove norme repressive (Ddl 1660) e rilanciano la carbonizzazione. Però, è anche necessario che lo sciopero generale non segni un semplice posizionamento politico e sindacale, non sia la semplice espressione di una contrarietà al governo, non si concretizzi in semplici iniziative di organizzazione. I lavoratori e le lavoratrici partecipano se colgono rivendicazioni e prospettive di una lotta e quindi una mobilitazione generale ha bisogno di parlare alle diverse ragioni e ai diversi settori del lavoro.
Serve allora uno sciopero che segni l’inizio di un movimento politico e sociale contro il governo e contro il padronato. Serve, cioè, costruire una consapevolezza diffusa dei tempi lunghi della lotta, della continuità e della determinazione necessaria a ribaltare rapporti di forza e logorare questo governo. In questi mesi è divenuta sempre più evidente la bruciante assenza di un movimento come quello sulle pensioni in Francia, degli scioperi ripetuti per riconquistare salario di molti paesi europei, o anche solo di quella reazione ai pestaggi fascisti contro i migranti che abbiamo visto in Gran Bretagna. Si sente la bruciante assenza di un’opposizione sociale centrata sul lavoro, che a partire da reti sindacali e di movimento sui territori sia in grado di sviluppare una resistenza alle offensive padronali e di destra che sono in pieno corso.
Questa consapevolezza e questa determinazione sono oggi assenti nelle dinamiche di massa. Il lavoro è segnato dalle divisioni tra settori, categorie, professionalità, specifiche condizioni e dinamiche economiche. La frammentazione del sistema produttivo ha diversificato le strategie di accumulazione del capitale e le forme di regolazione del lavoro, da una parte scomponendo tempi e modalità del conflitto, dall’altra perimetrando l’agire collettivo e le conseguenti identità sociali ai contesti immediati. Certo, non sono mancati scioperi riusciti e importanti (le ferrovie, il personale sanitario, il traporto pubblico locale, ecc), ma questi scioperi sono rimasti confinati, mentre in altri settori gli scioperi non ci sono stati o hanno avuto adesioni scarse, come nella conoscenza e nei pubblici. Le mobilitazioni sui diritti sociali tendono ad esprimersi in forme fluide, occasionali e identitarie (i Pride, Nonunadimeno, Fridayforfuture), capaci di grande partecipazione e visibilità, ma anche di scarso impatto politico e rivendicativo. Le mobilitazioni contro il genocidio palestinese e contro la guerra, segnate dalla repressione, sono rimaste limitate, spesso solcate da linee di fratture e divisioni. La moltitudine del lavoro si è così intrecciata in questo autunno, come le scorse stagioni, con una successione quasi settimanale di manifestazioni, scioperi e cortei: più di una disarticolazione che una diffusione del conflitto sociale. L’esperienza del Collettivo di Fabbrica GKN e del suo movimento #insorgiamo, che in anni terribili è stato capace di costruire momenti di mobilitazione con una larga partecipazione di attivisti e avanguardie, ha faticato a diffondersi nei territori e a svilupparsi a livello di massa, fatica oggi ad esser sostituita, essendo ora giustamente focalizzata sulla propria vertenza.
Questa consapevolezza e questa determinazione è mancata alle confederazioni sindacali. La CISL ha da tempo riscoperto le sue radici, tornando come negli anni ’50 ad interpretarsi come sindacato degli iscritti, sussidiario alla produzione, conservatore e governativo. La UIL conferma la natura oscillante che l’ha sempre caratterizzata, pronta ad appoggiare con piglio rodomontesco le lotte (o la fiat molla o molla la fiat), ma anche ad allinearsi ad operazioni antioperaie (vedi Marchionne), oggi riuscendo a far vivere le sue anime a seconda di territori e categorie. La CGIL ha sviluppato in questi anni un’azione contradditoria ed inconcludente. Contradditoria, perché la frammentazione del lavoro si riverbera in percorsi di categoria e politiche contrattuali disarticolate, incapaci di trovare strategie comuni. Inconcludente, perché rimanendo ancorata alla sua storica impostazione responsabile e concertativa, si è rifiutata di assumere dopo le elezioni del 2022 il ruolo di perno di un’opposizione sociale e antifascista; ha perseguito l’unità con la CISL (praticandola nelle categorie) e la codeterminazione con il governo (sino ad invitare e legittimare Meloni al suo congresso); ha composto un quadro rivendicativo segnato da riferimenti e vincoli della controparte, come su defiscalizzazione degli aumenti, TEM e TEC, welfare contrattuale, previdenza contributiva e fondi contrattuali. Anche questa volta, dopo gli scioperi scomposti degli scorsi anni, si è arrivati tardi (con una proclamazione a fine ottobre) e in qualche modo male (senza un coinvolgimento dei delegati/e e dei posti di lavoro), rischiando di riprodurre le piazza compartimentate degli scorsi anni.
La dinamica del 29 novembre, però, porta forse una novità. Un po’ per caso, un po’ per scelta, in quella stessa giornata sono in piazza forze sindacali e sociali diverse. Un po’ per caso, perché per ragioni del calendario e della rarefazione, CGIL e UIL hanno proclamato il loro sciopero lo stesso giorno in cui precedentemente era stato indetto da CUB e SGB. Un po’ per scelta, perché a partire da questo fatto, il fronte dei sindacati di base si è allargato e ha rivendicato la scelta, in grado di moltiplicare la sua forza e il suo impatto. Così, il 29 novembre è diventata una giornata di lotta proclamata da CGIL, UIL, CUB, SGB, Confederazione COBAS, SIAL, ADL, USI 1912, CLAP e SICOBAS, con il sostengo anche di circuiti precari, movimenti studenteschi e centri sociali, oltre che UDAP e GPI (le organizzazioni palestinesi più radicali, che connettono questa giornata di lotta al successivo corteo per la Palestina del 30 novembre). Certo, questa giornata sarà scandita da appuntamenti e piattaforme diverse, ma si è colto l’occasione di un segnale di convergenza, con un’unica giornata di lotta contro padronato e governo nella quale far scorrere le diverse impostazioni e prospettive.
Allora, sarebbe importante la continuità della mobilitazione e anche delle occasioni di convergenza, pur nella diversità di prospettive e percorsi. Del resto, l’offensiva di governo e padronato non si esaurisce a dicembre, non si conclude con la legge di Bilancio. Il DdL Sicurezza, l’iniziativa contro le esternazioni dei giudici (ritorsione per le sentenze garantiste sul rimpatrio rapido e il centro di detenzione in Albania), i provvedimenti disciplinari verso Cristian Raimo (docente di scuola che ha osato criticare il ministro in un dibattito pubblico) ci danno la cifra di un’azione che intende proseguire e approfondire il suo profilo autoritario. Il perseguimento dell’autonomia differenziata e delle gabbie salariali, il collegato sul lavoro con l’eliminazione di vincoli ai contratti in somministrazione, la moltiplicazione del precariato universitario, la costruzione di un sistema scolastico duale ci dicono che proseguirà anche la disarticolazione di diritti e servizi sociali. La rottura delle trattative sul contratto dei metalmeccanici ci raccontano l’intenzione padronale di costruire contratti quadriennali, contenendo ogni richiesta salariale e smontando ogni possibile sistema di adeguamento all’inflazione: come è sempre avvenuto nei rapporti generali di classe in questo paese, il conflitto e l’esito di questo rinnovo non sarà indifferente per l’insieme di lavoratori e lavoratrici. Allo stesso tempo, governo e CISL hanno avviato nelle Funzioni centrali (gli statali) una nuova stagione di contratti separati, allargatosi per ora alle Poste: la tenuta di una rivendicazione salariale in questo settore di 3,5 milioni di dipendenti, o un taglio strutturale dei loro stipendi di oltre il 10%, non sarà anch’esso un elemento di secondaria importanza nelle relazioni sociali di questo paese. Una dinamica su cui, oltre il proseguimento del conflitto, giocherà un ruolo anche la tenuta, l’avanzamento o l’arretramento, del blocco CISL-autonomi nelle prossime elezioni RSU (14, 15 e 16 aprile 2025). Su queste partite, come sugli altri conflitti aperti nel paese (trasporto, logistica, crisi industriali, ecc), si giocheranno nei prossimi mesi una parte non indifferente della capacità di aprire, dopo il 29 novembre, una stagione di ripresa della conflittualità sociale in questo paese.
Tenere questa convergenza sarà complicato. La CGIL sarà tentata di ripiegare sulla propria campagna referendaria, giocando nelle urne più che nelle piazze il proprio contrasto all’azione del governo, ridando spazio alle categorie che pensano di costruire intese con settori imprenditoriali poco convinti dall’azione di governo. Il sindacalismo di base, anche quello che oggi converge positivamente in un’unica giornata di lotta, sarà tentato di perseguire la propria costruzione alternativa, riproducendo automaticamente i riflessi su cui si è costruito in un’altra stagione storica, con scarsa attenzione alla ricomposizione dell’insieme del lavoro (le stesse elezioni RSU del pubblico impiego innescheranno del resto dinamiche competitive). I movimenti e circuiti sociali, per far vivere le loro specifiche vertenze, saranno tentati di riprodurre appuntamenti e iniziative autocentrate. La convergenza del 29, cioè, proprio nella sua dinamica occasionale, rischia di esplodere in un inverno di nuova disarticolazione.
La divisione, però, non è un destino. Ce lo dicono i processi unitari che si registrano in questi giorni sulla giornata di lotta per la Palestina del 30 novembre, dove non ci saranno due cortei separati. Ce lo dice la costruzione di un corteo nazionale a Roma il prossimo sabato 14 dicembre contro il DdL Sicurezza, promosso da un’ampia assemblea alla Sapienza lo scorso 16 novembre che ha visto coinvolti FIOM, FLC, AVS, ARCI, associazioni studentesche e un circuito variegato di centri sociali (global project e non solo). Una manifestazione che forse vedrà anche la partecipazione della Rete liberi di lottare (nonostante non gli sia stata data parola all’assemblea in Sapienza), promossa dal Sicobas e alla quale anche noi partecipiamo. Cioè, alcuni percorsi di fronte unico sembrano oggi riemergere, nonostante le difficoltà, le resistenze e i tanti settarismi, nonostante una dinamica di massa ancora incerta.
Per una conflittualità diffusa e persistente. Forse, si diffonde tra molti la comprensione che la rivolta sociale non può esser solo un’aspirazione o il passaggio mediatico di un discorso. Deve provare a diventare una pratica collettiva e unitaria. Per questo è oggi importante aprire una nuova stagione di convergenza, resistenza e conflitto sociale.
AMR Controvento