Documento approvato all’Assemblea nazionale di ControVento, Bologna 19 ottobre 2024
IL NOSTRO CAMMINO CONTROVENTO
La necessità di stringere le fila, controcorrente su indipendenza di classe e fronte unico, tra disorganizzazione del lavoro e governo della destra reazionaria.
A distanza di oltre due anni dalla fondazione di ControVento, è utile tracciare un bilancio della nostra esperienza, per comprendere meglio la situazione attuale e quindi delineare la strada su cui proseguire il nostro cammino.
1- Quando siamo nati nel 2022, ci siamo ritrovati su due assi fondamentali, come emerge dalla Carta Fondativa:
- La nostra configurazione come laboratorio politico, cioè la nostra costruzione come luogo plurale e transitorio di raggruppamento, in cui ridefinire collettivamente una proposta politica e organizzativa, interagendo con i conflitti nei rapporti di produzione e i movimenti internazionali. ControVento in questa stagione ha quindi compreso compagni/e che hanno diverse analisi, posizioni e collocazioni politiche nel perimetro programmatico della Carta fondativa, senza arrivare ad una sintesi o una scelta a maggioranza. Non ci siamo quindi strutturarti come organizzazione compiuta, con un conseguente centralismo democratico, ma abbiamo portato avanti un percorso temporaneo di riorganizzazione politica.
- Un impianto programmatico comunista rivoluzionario. La ridefinizione collettiva di un progetto politico in ogni caso si basa sull’esperienza del marxismo rivoluzionario del Novecento, consapevoli delle sue affermazioni programmatiche e prassi metodologiche, ma anche delle derive settarie o movimentiste che l’hanno caratterizzata. L’AMR, cioè, si è fondata su un impianto programmatico centrato su sei punti fondanti: l’opposizione alle classi dominanti e ai loro governi, la prospettiva di un governo di lavoratori e lavoratrici, il collegamento tra rivendicazioni e prospettiva anticapitalista, un rapporto dialettico tra avanguardia e autorganizzazione, una prassi consiliarista e un’ottica internazionale.
2- Questa scelta era il risultato di diverse considerazioni:
- La razionalizzazione di un passaggio di fase in Italia, innescato dalla Grande Crisi 2006/09 e dal frantumarsi della sinistra dopo il secondo governo Prodi [PRC e dintorni], segnato da una particolare disorganizzazione e divisione della classe [in cui si sfasano i cicli di lotta tra settori, si frammentano le identità, si esauriscono i movimenti di massa centrati sul lavoro], da un isolamento dell’avanguardia dalle dinamiche di massa, dalla penetrazione di movimenti reazionari nelle classi subalterne e anche nel lavoro organizzato (5S, Salvini e poi FdI), dal rattrappirsi del popolo della sinistra [la coscienza politica diffusa che metteva in relazione la contrapposizione tra classi subalterne e dirigenti, la contraddizione capitale/lavoro e la prospettiva di una trasformazione sociale];
- I limiti della strategia di costruzione del partito e del processo rivoluzionario nel PCL e più in generale nella sinistra rivoluzionaria: nel passaggio di fase emergeva cioè che qualcosa non funzionava nell’azione politica, con la sua focalizzazione sulla direzione di lotte e movimenti [propaganda, partecipazione e demarcazione], nella convinzione che le fascine si accumulano e quindi prima o poi si incendiano; anche i settori riformisti e centristi, infatti, perdono organizzazione e proiezione di massa, mentre i conflitti di massa perdono confini e identità di classe; la situazione politica è quindi caratterizzata, più che dalla crisi storica della direzione del proletariato [Programma di transizione, 1938], più che dalla marginalità dei partiti rivoluzionari (evidente), da una crisi storica della stessa organizzazione del proletariato;
- L’apertura di una riflessione su partito e classe, per contrastare le derive avanguardiste (il sostitutivismo alle dinamiche di massa) e quelle settarie (verticismo e internazionali-partito); se infatti l’organizzazione su un programma dell’avanguardia è imprescindibile per un progetto di transizione (l’anticapitalismo nei rapporti di produzione e nei conflitti sociali non genera, in sé, la socializzazione dei mezzi di produzione), nella politica rivoluzionaria è altrettanto imprescindibile sviluppare una propensione di massa e una prospettiva consiliare (la conquista dell’insieme della classe e la sua autorganizzazione), in un confronto libero e paritario tra diverse posizioni, anche organizzate, nel partito, sviluppando un centralismo democratico che garantisca dialettiche interne [vedi Classe, partito e consigli];
- L’estrema debolezza e dispersione delle nostra forze: ControVento nasce ritessendo un rapporto tra un piccolo nucleo di compagni/e usciti negli anni dal PCL, logorati dalla sua progressiva deriva avanguardista e verticista; qualche decina di militanti e attivisti, dispersi in diversi territori, impegnati su diversi fronti sindacali e sociali, hanno fatto fatica a condividere pratiche e interventi quotidiani, in un contesto per di più di frammentazione dell’iniziativa di classe; la scelta di avviare un percorso di rielaborazione collettiva sembrava allora il più adatto alle condizioni della realtà, cercando di comprendere le dinamiche di questa nuova stagione e di raggruppare nuove forze anche attraverso un processo di analisi della composizione e delle dinamiche della lotta di classe, con una rielaborazione graduale di prassi e strategie.
3- Nella difficoltà dei tempi, contavamo su una progressiva riattivazione dei conflitti sociali, su parziali ricomposizioni delle soggettività di classe nelle lotte, su percorsi di bilancio politico in settori dell’avanguardia in grado di segnare soluzioni di continuità e quindi aprire possibili nuovi percorsi. Speravamo, cioè, che la fine della sospensione pandemica e delle sue ulteriori divisioni ideologiche nel campo della sinistra e dei movimenti (vaccinazioni e gestione sanitaria), insieme al precipitare di alcuni elementi della crisi economica e al crescente ruolo delle destre reazionarie, potessero aprire da una parte una nuova stagione di mobilitazione, dall’altra percorsi di rielaborazione e riarticolazione nella sinistra, in cui il PCL e le altre principali organizzazioni della tradizione trotzkista (SA e SCR) ci sembravano giocare un ruolo non solo autocentrato, ma soprattutto di patologica riproposizione di percorsi fuori stagione:
- Il PCL con una riedizione parossistica della proposta propagandista ed elettorale di una sinistra che non tradisce, in una radicalizzazione della demarcazione in movimenti e sindacati anche con componenti di partito (più o meno dirette), mai praticate quando aveva dimensioni e interventi ben più significativi di oggi;
- SA con la coazione a ripetere del tentativo di agglutinare la sinistra centrista, indipendentemente dalle sue matrici staliniste e dall’assunzione di prospettive popolari, continuando ad inseguire progetti politici che non gli appartengono, per poi esserne puntualmente scaricata (da Potere al Popolo ai cartelli con il PRC/PCI);
- SCR con la riedizione nelle lotte e nei movimenti di prassi correntizie, da una parte con un’azione focalizzata sulla propaganda dei propri materiali, dall’altra con l’incapacità di farsi carico di qualunque percorso di fronte unico o unità d’azione (anche quando vi partecipa, in liste elettorali o aree sindacali).
Il riemergere di nuove grandi mobilitazioni (Nonunadimeno, i Pride, FridayForFuture o la Lupa romana, quell’improvviso riaccendersi di un’ampia mobilitazione studentesca) nella nostra impressione replicavano le dinamiche occasionali e interclassiste che hanno segnato l’ultimo decennio (da OccupyWallStreet agli Indignados): hanno rappresentato, cioè, più un segno dell’attuale scomposizione di classe che un’occasione di suo rilancio. Vedevamo piuttosto in altre dinamiche, ancora confinate nell’ambito dell’avanguardia larga e di quella politica, l’annuncio o l’occasione di possibili nuovi sviluppi:
- In primo luogo, #insorgiamo, cioè la capacità del Collettivo di fabbrica GKN, intorno alla sua vertenza e all’occupazione dello stabilimento, di attivare non solo un’ampia solidarietà territoriale, non solo una rinnovata attenzione nella sinistra diffusa sul lavoro e i conflitti nei rapporti di produzione, ma anche una proposta di convergenza che almeno per un anno ha rappresentato di fatto l’unica occasione di mobilitazione unitaria dell’ampia avanguardia sociale e politica del paese (cortei a Firenze di settembre 2022 e marzo 2023, 15/20mila partecipanti, capaci di riunire sindacati di base, sinistre CGIL, settori FFF e studenteschi, circuiti antagonisti, centristi e rivoluzionari, ma anche settori della sinistra riformista e CGIL, seppur sporadici). Di fatto, in una terribile stagione di divisione, hanno costruito una prospettiva di fronte unico di classe, anche senza riuscire ad articolarla nel tempo, nei territori e nelle pratiche.
- In secondo e secondario luogo, accenni di possibili confronti e ricomposizioni nell’avanguardia: l’avvio da parte del SiCobas e della TIR di percorsi di coordinamento (prima le assemblee dei combattivi, poi l’accenno ad un fronte antimperialista disfattista con le assemblee di Roma e Milano); l’apertura in Sinistra Anticapitalista di una dialettica sulla sua strategia; il tentativo di SGB, una volta fallita l’unificazione con la CUB, di giocare un ruolo unitario e fluidificante nelle asfittiche relazioni del sindacalismo di base; la complicata sopravvivenza di un’area alternativa in CGIL, nonostante le volontà landiniane, il logoramento del tessuto largo di delegati/e, l’assenza di movimenti di massa.
4- Le dinamiche della realtà sono state diverse. Ci siamo costituiti poche settimane prima del 24 febbraio 2022, l’inizio dell’invasione Russa dell’Ucraina. In quel conflitto è precipitata la divisione del continente euroasiatico, la diretta contrapposizione tra imperialismi deboli e forti (EU/Russia; USA/Cina) e l’apertura di una nuova stagione di imperialismo di attrito (uno scontro tra poli mondiali che, ancora impreparati alla guerra globale e timorosi della minaccia nucleare, tessono blocchi internazionali, iniziano la mobilitazione delle proprie economie e delle proprie società, innescano conflitti diretti cercando al contempo di circoscriverli). Questa nuova stagione non ha solo riportato l’ombra della guerra nella prospettiva delle popolazioni europee, ma ha esacerbato un nuovo ciclo inflattivo e rilanciato strategie e movimenti reazionari. Questa stagione ha quindi impattato nei processi di massa e nella lotta di classe, come nella larga avanguardia e quindi nelle sue dinamiche politiche, moltiplicando incertezze e divisioni. Di fatto, al termine di questo biennio, gli stessi tenui segnali di una possibile nuova stagione di conflitto sociale hanno assunto valenze contradditorie.
- Sul piano continentale, abbiamo visto una ripresa di conflitti del lavoro. L’acuto e prolungato picco inflattivo, iniziato per gli squilibri della crisi e del rimbalzo post-pandemico prima della guerra ucraina ma esasperato dal conflitto, ha innescato una nuova stagione di scioperi economici diffusi, in cui ha spiccato per estensione e significato politico l’imponente movimento francese contro le pensioni dello scorso anno. Entrambi i fenomeni sono stati significativi, anche se in qualche modo entrambi sono stati segnati da dinamiche contradditorie: gli scioperi salariali sono sati divisi non solo per paese ma anche per categorie, con pochi scioperi generali e poco riusciti (anche in confronto alla stagione 2010/12), una mobilitazione concentrata solo su alcuni settori (trasporti, logistica e pubblico impiego, in particolare sanità e scuola); il movimento francese ha visto una grande partecipazione di massa ai cortei e una loro inedita diffusione territoriale, ma una scarsa presa nei posti di lavoro e negli scioperi; una direzione intersindacale, con una rinnovata centralità del lavoro, ma una scarsa capacità di autorganizzazione di massa.
- In Italia questa dinamica non si è data, né nell’iniziativa di massa, né negli scioperi. Anzi. L’ascesa del governo Meloni e le sue politiche reazionarie non hanno innescato grandi cortei politici, diversamente da altre realtà del continente (le ampie manifestazioni contro Afd in Germania, la reazione francese all’ipotesi di governo Le Pen, la mobilitazione inglese che quest’estate ha spento gli attacchi contro gli immigrati). Sebbene ci siano state ampie partecipazioni nei pride o nella reazione al femminicidio Cecchetin, è sinora mancata un’opposizione di massa. La responsabilità principale è CGIL, che non ha voluto innescare una reazione alla vittoria della destra (corteo del 9.10.2022) ed ha indetto scioperi scomposti e tardivi (dicembre 22 e 23), spostando poi l’iniziativa sul terreno referendario. Così, anche se non sono mancati scioperi riusciti (sanità, Trenitalia e ferrovie, legno e arredo, ecc), sono rimasti occasionali, senza segnare nemmeno l’avvio di un nuovo ciclo di lotte. Anzi: il ciclo della logistica padana, che ha segnato l’ultimo decennio, inizia a risentire della strategia di internalizzazioni e dislocazioni avviata dal padronato, segnando il passo nelle sue dinamiche sindacali. La chiusura dei grandi contratti privati negli ultimi due anni, in un quadro di frammentazione categoriale (differenza negli aumenti e nei meccanismi salariali) ma di unità sindacale (pur nell’aspra contrapposizione confederale tra CGIL CISL e UIL), la sostanziale divisione e marginalità del sindacalismo di base, l’imbarazzante silenzio dei settori pubblici hanno segnato una stagione che ha proseguito, se non aggravato, il ripiegamento del lavoro.
- La larga avanguardia sociale e politica ha visto chiudersi la primavera di convergenza. La dinamica di #insorgiamo si è logorata nella sostanziale sconfitta della vertenza GKN (con un’ipotesi di reindustrializzazione impantanata e strategie di sopravvivenza centrate sulla cooperazione sostenibile). Nessuna realtà sociale o politica è stata in grado di sostituire il suo ruolo. La mobilitazione contro il genocidio di Gaza, al di là della diffusa logica di fronte di liberazione nazionale (persino con forze reazionarie e fondamentaliste), non ha visto ripetersi l’iniziativa milanese dello scorso febbraio (un corteo di oltre 20mila partecipanti che ha riunito l’insieme delle diverse sinistre) e si è sviluppata su azioni studentesche limitate, combattive e determinate, ma segnate da un’estrema competizione tra organizzazioni e dall’incapacità di darsi una proiezione di massa [sfociando così anche nelle assurde accuse a Lotta Comunista, nel tentativo allucinante di escluderla dalle università e nella sua reazione muscolare senza senso]. Così, oggi, l’ennesimo autunno si dispiega con mobilitazioni diverse e parallele (5 ottobre su Palestina, con evidenti dinamiche avanguardiste; 11 ottobre FFF; 12 ottobre manifestazione scuola a Roma di Cambiare Rotta, collettivi, USB, CUB e l’insieme diviso del Cobas scuola, oltre al corteo dislocato della comunità palestinese; 18 ottobre sciopero nazionale SICobas su DDL sicurezza e dell’Automotive FIOM FIM UILM; 19 ottobre manifestazione pubblici CGIL e UIL; 26 ottobre manifestazione contro la guerra Europe for Peace e Rete Italiana Disarmo; 31 ottobre sciopero generale USB pubblico impiego; fine ottobre probabile sciopero conoscenza FLC CGIL; fine novembre sciopero CGIL e UIL), che riproducono una stagione di contrapposizione, più che avviare una nuova fase di permanente conflittualità sociale. Si producono bolle di conflitto, come le abbiamo chiamate in questi mesi, che proviamo ad attraversare e speriamo non esplodano sparendo nel nulla.
- Le dinamiche politiche nell’avanguardia hanno quindi visto un’ulteriore frammentazione settaria. La condizione delle lotte di massa e della larga avanguardia ha pesato sulla sinistra italiana. Se i settori riformisti (AVS) hanno potuto capitalizzare sul terreno elettorale (e quindi politico) il ruolo di forza parlamentare antifascista ed ecologista [raggiungendo il 6,78% e 1,5 milioni di voti alle Europee], senza tra l’altro schiacciare gli spazi alla sua sinistra [Pace, terra e dignità, 2,21% e 500mila voti, percentualmente e in voti assoluti più di Unione Popolare e PCI alle politiche 2022], la sinistra alternativa ha approfondito le sue dinamiche identitarie. Ogni soggetto, comunque ridotto e minoritario, si propone infatti oggi come possibile centro di riaggregazione, ognuno delineando propri percorsi in dinamiche spesso settarie, cancellando non solo la prospettiva di un fronte unico di massa (in grado di convergere e coinvolgere anche forze riformiste), non solo la pratica dell’unità d’azione, ma talvolta persino quel coordinamento intergruppi necessario per la salvaguardia delle mobilitazioni. In questa deriva si moltiplicano le linee di frattura tra e nei diversi soggetti (scioperi contrapposti nel sindacalismo di base; la spaccatura congressuale del PRC, che ha prodotto un’organizzazione di fatto duplice; il perenne dualismo in PaP; il caleidoscopio antagonista; la divisione del Cobas scuola, ecc), mentre si acutizzano le coazioni a ripetere di alcune componenti: la costruzione improvvisa e improvvida di liste senza identità e radici nel lavoro (Pace, Terra e Dignità); un’offerta politica togliattiana in sessantaquattresimo (il PCI); l’eterno pendolo di proposte unitarie e avanguardiste, destinate a cicliche chiusure organizzative (SiCobas, oggi contro il DDL sicurezza); proposte di fronte unico d’avanguardia (il Fronte della Gioventù Comunista); demarcazione e presenza elettorale (il PCL a Roma, Pavia e Liguria; in CGIL o tra gli studenti); la costruzione oggi, vent’anni in ritardo e in un ripiegamento storico, di un’Internazionale con partiti indipendenti (SCR con la IMT, che radicalizza la sua prassi organizzativa nel PCR/ICR). L’unico segnale di novità, per certi versi, sono i segnali di scongelamento dell’attendismo strategico di Lotta Comunista (oggi probabilmente il soggetto con la struttura militante più ampia nella sinistra italiana): il precipitare della competizione mondiale e la crisi dell’ordine (per usare il suo linguaggio), con il possibile sviluppo di conflitti globali, chiude di fatto quella stagione di ripiegamento delle forze rivoluzionarie davanti all’egemonia americana e stalinista. Questo cambiamento, però, rimane ad oggi sostanzialmente confinato all’analisi, con alcuni segnali di disponibilità al confronto e all’intervento (solidarietà nei quartieri e manifestazioni rivendicative), senza scalfire la sua postura (focalizzazione sulla propaganda, nessuna articolazione di un metodo transitorio, inglobamento nella maggioranza CGIL).
- La distanza tra dinamiche di massa e di avanguardia. Gli ultimi due anni, segnati dalla precipitazione dell’imperialismo di attrito (l’invasione russa dell’Ucraina, il conflitto a Gaza ed il crescente sviluppo cinese), hanno quindi visto moltiplicarsi le bolle delle lotte sociali, le fratture dell’avanguardia larga e le contrapposizioni in quella più militante. Così, si è consolidato ed allargato un solco tra le rappresentazioni, gli immaginari e i vissuti delle masse e quelli della cosiddetta avanguardia. A livello di massa l’esperienza del proletariato è segnata da particolarismi, con identità parziali e al contempo assolutiste: questo porta allo sviluppo di mobilitazioni frammentate e disperse, ma anche a movimenti moltitudinari (che si ritengono estranei e trasversali ai conflitti nei rapporti di produzione), talvolta anti-sistema e molto radicali (contestando lo stato di cose esistenti, ma interpretando il capitalismo come una sovrastruttura politica, un comando, e non un rapporto tra classi sociali), che si rappresentano aclassisti e si articolano spesso in forme fluide, senza strutture diffuse; in questo contesto, l’esperienza di massa subisce la fascinazione della costruzione di larghe alleanze politiche, fronti popolari o democratici per contrastare strette repressive e minacce reazionarie, non avendo coscienza diffusa dell’antagonismo degli interessi di classe e neanche la prospettiva di costruzione di un blocco sociale delle classi subalterne. Da qui origina da una parte la penetrazione del voto reazionario nel proletariato e anche in settori organizzati di classe, che viene incontro ai vissuti di rabbia e paura, come all’illusione di una risposta alle proprie specifiche condizioni; dall’altra il largo consenso al Nuovo Fronte Popolare francese e all’alleanza democratica contro Le Pen, il voto in Italia ad AVS e persino al PD di Schlein, l’apparente inevitabilità della prospettiva di un campo largo. A livello di avanguardia l’esperienza degli attivisti della sinistra politica e sociale si svolge per la maggior parte in una dimensione astratta e scollegata da questi contesti specifici, senza radicamento e rappresentanza dei diversi strati o settori di classe, proponendo quindi quelle pratiche autocentrate e settarie che abbiamo visto, da una parte inseguendo processi di massa vissuti per lo più come estranei e incomprensibili, dall’altra sospinti dall’ansia di distinguersi da altri programmi e impostazioni. Ci troviamo quindi, a distanza di 80 anni, a nuotare ancora controcorrente, questa volta non rispetto all’egemonia socialdemocratica e stalinista in una classe organizzata, ma rispetto alla coscienza dell’importanza dell’indipendenza di classe e del fronte unico in una classe lavoratrice scomposta e dispersa.
5- La destra reazionaria, nel frattempo, ha consolidato il suo governo. Fratelli di Italia ha costruito la sua ascesa di massa sui processi degli ultimi quindici anni: la Grande crisi e la divaricazione degli strati intermedi, con settori della piccola e media borghesia produttiva (distretti), commerciale (piccoli negozi) e professionale (vecchi e nuovi mestieri) minacciati nella loro stessa riproduzione per la riduzione dei margini di profitto (competizione sui mercati e centralizzazione dei capitali) o l’allargamento dei circuiti di valorizzazione (sviluppo di società di servizi professionali); l’integrazione dei mercati mondiali, con la diffusione di migrazioni di massa, il consolidamento di società multiculturali e lo sviluppo di tratti culturali globali (da Netflix a Spotify), che hanno innescato reazioni xenofobe e nazionaliste; nel quadro di questa cultura globale, in particolare nelle giovani generazioni, una messa in discussione dei ruoli di genere e delle culture sessuali dominanti, con le vittorie dei diritti gay/lesbici e lo sviluppo del movimento LGBTQ+, che ha innescato reazioni tradizionaliste e patriarcali; la de(s)composizione del popolo di sinistra nel quadro di una generale disorganizzazione di classe; l’emersione di un movimento reazionario estraneo alla destra (i 5 Stelle), capace di scompaginare le classiche appartenenze e di penetrare nei nuovi ceti intermedi a forte presenza giovanile; il governo giallo-verde, che nei suoi 15 mesi ha legittimato un senso comune xenofobo, che ha consolidato un consenso reazionario (quasi un terzo nella società, oltre un 40% dei voti); la trasformazione dei 5Stelle in una forza ambiguamente progressista, che ha portato a destra una parte del consenso; il governo di unità nazionale di Draghi, che ha fatto emergere Meloni come principale opposizione alle politiche liberali (condensate nel PNRR, ragione fondante e cifra di quel governo). Fratelli di Italia raccoglie quindi oggi una la richiesta di una diversa gestione capitalistica della crisi, nazionalista e comunitaria, con la capacità di penetrare nelle classi subalterne (vedi il voto di Terni, Piombino o delle periferie romane) e di produrre senso comune (soprattutto se non contrastata), anche se in realtà è ancora minoranza nel paese. Governa in ogni caso con un’ampia maggioranza parlamentare e un’alleanza solida, sebbene subisca la competizione di Salvini (e le sue tentazioni di radicalizzazione alla Vannacci) e un difficile rapporto con le pulsioni europeiste di Forza Italia. I limiti di fondo della sua politica in realtà sono oggi altri:
- La difficoltà a praticare una diversa gestione capitalista della crisi: nonostante il suo consenso nei ceti intermedi e in settori popolari derivi da questo, nonostante il suo impianto nazionalista e comunitario alluda ad una politica economica e sociale di guerra centrata sull’intervento pubblico, il riarmo e strategie di blocco (perimetrazione dei mercati), in sintonia con le dinamiche dell’imperialismo di attrito, tale passaggio non si è (ancora?) sviluppato negli assetti concreti della nostra formazione sociale (italiana ed europea). I nuclei centrali del grande capitale non intendono abbandonare la strategia di accumulazione neoliberale degli ultimi decenni (ipersviluppo finanziario, debito diffuso, integrazione dei mercati e pressione sui salari), fino a quando non vi siano costretti. Inoltre, una nuova gestione nazionalista della crisi capitalistica, nel quadro dell’attuale imperialismo di attrito, per esser effettiva dovrebbe avere la capacità di svilupparsi su dimensioni continentali, mentre la reazione dei ceti intermedi, nel proprio sguardo ad un ideale passato mai vissuto, è rivolta ai confini patrii se non a dimensioni più ristrette (vedi la Lega e il nord industriale, connesso al nucleo europeo).
- Qui si colloca la contraddizione principale del governo Meloni. L’Unione Europea, sebbene sia ancora a trazione liberale, è profondamente segnata da divisioni tra le diverse frazioni del grande capitale sulla necessità di stringere l’alleanza atlantica o sviluppare un compiuto assetto imperialista continentale; dalla debolezza del grande capitale europeo e le ipotesi di costruzione di un suo nucleo portante su credito, energia, infrastrutture e difesa (vedi i piani Letta e Draghi); dalla resistenza a sviluppare il bilancio federale e una spesa pubblica continentale (anche solo per riarmo e infrastrutture strategiche); dalle tendenze centrifughe che oramai non solo dominano realtà periferiche (dall’Ungheria all’Austria), ma arrivano a premere anche nel nucleo centrale europeo (Francia e Germania). La guerra in Ucraina, la rottura della strategia euroasiatica del capitale tedesco (esplosione di Nordstream, chiusura dei collegamenti diretti tra Ue e Cina via Russia) e il logoramento di una politica economica centrata sulle esportazioni hanno approfondito la crisi istituzionale e politica dell’Unione (un parlamento senza più un chiaro assetto politico e una Commissione slegata dai due governi centrali nel continente), senza lasciare al momento spazio né per una diversa gestione capitalista della crisi a livello continentale, né per costruirla in un solo paese dell’Unione.
- Questa contraddizione si invera quindi nelle incoerenze e nelle difficoltà di governo. I problemi non stanno negli infiniti inciampi e nelle innumerevoli gaffes della sua compagine (le sorelle Meloni e i loro ex-compagni, i treni fermati, i deputati con la pistola, i sottosegretari che divulgano documenti riservati, le ministre che fanno lavorare i propri dipendenti in cassaintegrazione e i ministri che piangono in TV per le proprie amanti), ma nella doppia anima sul palcoscenico europeo (a destra ma in sostegno alla Commissione), nella riattivazione del Patto di stabilità [che pone limiti stringenti alle politiche di bilancio dei prossimi sette anni], nella necessità di dover concordare strategie e scelte strategiche di fondo con Blackrock [la più grande società di investimenti nel mondo, presente con pacchetti rilevanti nelle principali banche e industrie del paese, private e pubbliche]. Se condoni e depenalizzazioni possono esser sufficienti a mantenere una presa sui ceti intermedi, le incoerenze europeiste possono indispettire settori significativi delle classi dominanti, le politiche di tagli e sacrifici logorare il consenso popolare.
- In questo quadro, matura l’ipotesi di una stretta autoritaria. Non siamo solo di fronte ad una propensione ideologica di settori che non hanno mai abbandonato la propria cultura fascistoide, che pure emerge in alcuni provvedimenti (le norme su Rave, Voto di condotta o Sicurezza). Siamo di fronte all’ipotesi strategica di uscire da queste contraddizioni attraverso una vera svolta bonapartista [come quella a cui alluse Berlusconi, senza mai avere la forza di provarla; come quella che tentò Renzi, senza riuscire a concluderla], cioè l’autonomizzazione del potere politico (dalla necessità di un consenso maggioritario e dalla necessità di rispondere ad un blocco sociale di riferimento), per usare gli apparati dello stato e il suo controllo economico per ridisegnare gli assetti della struttura produttiva e quindi la sua organizzazione sociale. La tentazione, cioè, è quella di costruire un regime, che in qualche modo possa cogliere la tendenza dei tempi e costruire una nuova stagione di gestione della crisi. Non è un passaggio semplice: non tanto per l’insieme raffazzonato di questa classe dirigente (in fondo, quella fascista alle spalle di Mussolini non era diversa, né per familismo né per cialtronaggine), quanto per l’assenza di un emergenza sociale (una minaccia rossa, come nel 1921) o un tracollo internazionale in grado di dargli la forza decisiva per prevalere. Proprio la stretta, infatti, come ai tempi di Renzi potrebbe coagulare nella dinamica referendaria le opposizioni politiche e sociali, portando ad una sua sconfitta. L’opzione della riforma Costituzionale e del premierato, non a caso, viene oggi rimandata a tempi migliori.
- L’attuale opposizione parlamentare, comunque, è divisa. A pesare non è solo il protagonismo di questo o quel soggetto (Conte, Calenda, Renzi, Schlein), che pure ha un suo ruolo nella cronaca quotidiana e quindi nella successione degli eventi politici. A pesare è la frammentazione delle classi dominanti e di quelle subalterne nel paese: l’assenza di un assetto stabile nel grande capitale, la divaricazione tra sommersi e salvati nei ceti intermedi, la polverizzazione della classe lavoratrice. Così, mentre la destra riesce comunque ad agglutinare su un discorso nazionalista e reazionario i ceti intermedi spaventati dalla crisi, i settori retrivi del grande capitale e una parte dei settori popolari disgregati, le opposizioni sono separate da strategie contradditorie: la persistenza di politiche liberali ed europeiste, l’aspirazione ad una proposta neokeynesiana senza sostanza e prospettiva (per le stesse ragioni strutturali che rendono difficile avviare una diversa gestione capitalistica), l’inseguimento di temi e immaginari capaci di penetrare nell’elettorato di centro-destra. Così, il cosiddetto campo largo è non solo attraversato da dinamiche competitive (in particolare tra PD e 5S), ma da contrapposizioni nei voti parlamentari su UE, da differenze evidenti in politica estera, da alleanze incerte e mutevoli alle elezioni amministrative. Riesce a ricompattarsi quindi solo in funzione di contrasto alla destra, come si è ritrovata sui referendum su lavoro, sull’autonomia differenziata e sulla cittadinanza, nonostante le diverse propensioni di merito.
- Questo anno politico sarà quindi segnato dal voto referendario, se i quesiti più significativi sopravviveranno al vaglio della Consulta (in particolare, l’abrogazione della legge Calderoli e la cittadinanza). Le caratteristiche del voto referendario facilitano infatti il ricompattamento dell’opposizione contro un fronte governativo non maggioritario nel paese, mentre i quesiti colpiscono elementi cardine dell’attuale politica reazionaria (anche se solo sul piano politico, perché la legge Calderoli regola ma non determina l’autonomia differenziata, prevista dalla revisione Costituzionale del 2001; la riduzione a 5 anni della cittadinanza non cambia la sua impostazione censitaria e quindi non l’allarga significativamente; i quesiti su licenziamenti, causali precariato e appalti incidono poco nella realtà delle cose). Un’eventuale sconfitta, con il raggiungimento del quorum, potrebbe allora segnare il futuro del governo, a partire dal proseguimento o meno della stretta reazionaria con la riforma Costituzionale. Per questo Meloni giocherà probabilmente la campagna referendaria sulla sua persona, assumendo il pacchetto referendario nel suo insieme come simbolo delle politiche dell’opposizione, mentre l’opposizione da una parte sarà tentata di rispondere sullo stesso piano (tessendo un fronte democratico contro le destre), dall’altra cercherà di inseguire un’opinione di merito che ha confini più larghi del suo schieramento (soprattutto al Sud sull’autonomia e, paradossalmente, al Nord sulla cittadinanza, per l’alta presenza e integrazione delle comunità migranti).
- Il rischio principale è che, ancora una volta, non emerga la contrapposizione tra capitale e lavoro. La portata e la capacità di penetrazione dei quesiti promossi dalla CGIL è scarsa (come mostra la stessa dinamica della raccolta firme, con un obbiettivo raggiunto per la forza dell’organizzazione più che per l’adesione virale nella popolazione) e così le dimensioni che rischiano di prevalere nella comunicazione, nell’immaginario e nelle rappresentazioni sociali sono quelle dei diritti civili, della divisione territoriale del paese, della contrapposizione tra fronte democratico e destra. Una dinamica che, tra l’altro, rischia di favorire la stessa meloni, perché per portare oltre 23 milioni di persone al voto sarebbe necessario non solo la partecipazione meridionale contro l’autonomia differenziata, non solo quella deii settori metropolitani e progressisti del Nord, ma anche quella di quei settori popolari e operai che nelle aree industriali rischiano di subire più pesantemente la divisione territoriale dei diritti universali, la logica di budgetizzazione e le privatizzazioni che sottendono l’autonomia differenziata. In ogni caso, proprio in questa stagione diventa fondamentale sottolineare il punto di vista di classe nello scontro politico, a partire dallo sviluppo di un opposizione sociale di massa contro la legge di bilancio e i tagli che saranno decisi nella prossima stagione (sanità, pensioni, istruzione, ecc).
6- Una piccola barca in una corrente tremenda [Lottando contro la corrente, Trotsky, 1939]. Abbiamo attraversato questi due anni nelle bolle del conflitto sociale e nella verifica di possibili percorsi di raggruppamento, cercando di mantenere la piccola scialuppa di salvataggio rappresentata dal nostro laboratorio politico. Nella corrente delle nuove stagioni di guerra, abbiamo cercato una strada che tenesse aperta la prospettiva di un progetto comunista e rivoluzionario, focalizzato sull’indipendenza di classe e l’internazionalismo, da una parte assumendo una posizione di disfattismo bilaterale nel conflitto ucraino (ritenendo dominanti le dimensioni dello scontro tra imperialismi), dall’altra confermando il sostegno alla resistenza palestinese dopo il 7 ottobre, ma contrastando esplicitamente ogni ipotesi di fronte di liberazione nazionale ed ogni indulgenza verso Hamas, il suo progetto reazionario e i suoi conseguenti metodi di lotta (recuperando, in questo quadro, la proposta di unità di lotta, desionizzazione di Israele e critica delle modalità di lotta armata portate avanti da Matzpen negli anni ’60 e ’70). Questa impostazione ha confermato la divaricazione con il PCL, che nel quadro delle sue derive verticiste e avanguardiste ha assunto posizioni (talvolta contradditorie) di sostegno alla resistenza ucraina e schiacciamento sulle mobilitazioni palestinesi, arrivando quindi ad avviare un percorso di raggruppamento internazionale con la Lega della V internazionale e la ISL, con simili posizioni politiche. In questo passaggio, ci siamo dati un sito più funzionale alla comunicazione e una continuità di ragionamento attraverso una rivista cartacea e on line (ControVento), a cui abbiamo provato a dare una periodicità ogni 5/6 mesi, arrivando ad una registrazione ufficiale e a realizzarne cinque numeri (novembre 2022; aprile 2023; ottobre 2023; aprile 2024; ottobre 2024). Contemporaneamente, abbiamo provato ad esser presenti nelle più significative mobilitazioni con un nostro punto di vista (volantini), abbiamo costruito periodici appuntamenti e iniziative on line, abbiamo avviato un percorso di confronto internazionale (nelle Conferenze di Milano e non solo), che approfondiremo nella discussione internazionale. In questi due anni abbiamo anche sviluppato occasioni di confronto con altre soggettività, per verificare possibili percorsi comuni e anche ipotesi di progressivo raggruppamento. La dinamica delle cose, la forza della corrente e delle fratture nell’avanguardia, ha rivelato la sterilità della maggior parte di essi. La minoranza di Sinistra Anticapitalista, divisa sull’Ucraina (tra settori molto vicini alle nostre prospettive, come Brescia anticapitalista, e altri che hanno assunto posizioni di pieno sostegno alla resistenza ucraina) e progressivamente riallineata con la maggioranza sulle strategie politiche (tanto da concludere unitariamente l’ultimo congresso), è sostanzialmente evaporata, interrompendo di fatto ogni relazione con loro. TIR e SiCobas, al di là delle sue posture altalenanti, hanno sviluppato una posizione di pieno sostegno alla resistenza palestinese e alla sua unità politica, annullando quella convergenza che si era sviluppata sulla questione ucraina. L’incontro con altre piccole realtà della diaspora trotzkista (da Occhiodiclasse al Collettivo CheGuevara) ha rivelato rilevanti differenze di impostazione. Nel rispetto della pluralità di posizioni e percorsi dell’Associazione, di fronte alla frantumazione del blocco sociale di riferimento, i compagni/e bolognesi di ControVento si sono posti il problema della ricomposizione degli elementi resistenza presenti in varie forme sul territorio, promuovendo l’esperienza Sinistra Unita per Bologna, prima lista per il consiglio comunale e per i quartieri alternativa al Pd e alla sua alleanza e poi trasformata in coordinamento cittadino, aggregando partiti ma soprattutto compagni/e senza tessere. L’obbiettivo di sviluppare uno spazio politico plurale in cui poter riaggregare forze su base programmatica prosegue e ha sviluppato rapporti anche in altri territori, pur scontrandosi con i processi in corso nella sinistra e con la difficoltà a dare forme nazionali a questo percorso. In questi due anni, in ogni caso, abbiamo sviluppato una collaborazione di iniziative con ControCorrente/Puntocritico.info, a partire da una simile visione della nuova stagione internazionale e dei suoi conflitti, da riflessioni parallele (anche se non sovrapponibili) sui limiti e la crisi del percorso storico del comunismo rivoluzionario, da una comune attenzione alle dinamiche e all’organizzazione del conflitto di classe (iniziative sulla guerra in Ucraina, sulla presentazione del libro di Mandel sulla guerra, su Amazon e il lavoro povero, sugli USA e i suoi conflitti; sulla destra europea, sulla militarizzazione in scuole e università). Questo percorso è però limitato da tre evidenti diversità, che rendono difficile lo sviluppo di questo rapporto: in primo luogo, la diversa propensione sul terreno politico-organizzativo [la loro valutazione che la corrente contraria di questa fase può esser affrontata solo come struttura di analisi e cronaca, senza esprimere oggi soggettività politiche compiute]; in secondo luogo, il diverso rapporto con Lotta Comunista e il suo intervento; in terzo luogo, il diverso ragionamento e la diversa collocazione nell’intervento sindacale. Nonostante queste diversità, evidenti e consapevoli ad entrambi, la convergente analisi sulla situazione internazionale e sull’importanza di sviluppare oggi interventi antimperialisti, disfattisti e antimilitaristi, oltre che la simile attenzione ai conflitti nei rapporti di produzione, sono un terreno per continuare a sviluppare iniziative comuni su questi elementi condivisi, in un’ottica di specifica unità d’azione.
7- A volte l’unico modo di camminar dritto è quello di cambiare strada [Ken Parker, Pellerossa, n°26]. La diversa dinamica delle cose rispetto alle nostre aspettative, la nuova stagione politica avviata dalla guerra in Ucraina; il permanere e anzi l’approfondirsi delle divisioni tra dinamiche di massa e di avanguardia; l’oggettiva difficoltà a sviluppare in questo contesto nuovi percorsi di raggruppamento; l’emersione di una nuova generazione politica, che da una parte non ha il vissuto della sinistra di massa del passato, dall’altra vive l’attuale stagione di fratture e settarismi: tutto questo pone la necessità di un cambiamento di ControVento. La transitorietà del suo percorso, dopo oltre due anni di vita, deve esser razionalizzata. Siamo consapevoli di esser inattuali, cioè di muovere da un impianto programmatico e una prassi politica oggi contro corrente rispetto alle esperienze della larghe masse e alla percezione della larga avanguardia politica e sociale. In primo luogo, come abbiamo sottolineato, sull’indipendenza di classe e il ruolo del fronte unico. Però, proprio di fronte alla nuova stagione di guerra e all’ascesa della destra, serve consolidare la nostra piccola scialuppa e disporsi ad una prolungata navigazione controcorrente. Per questo, si propone in questa assemblea 2024 del AMR ControVento i seguenti passaggi.
- Costruire un vero e proprio collettivo politico. Per navigare in questa corrente, è necessario che l’associazione sia in grado di innescare un vero e proprio salto politico e organizzativo. Dobbiamo, cioè, pur nella limitatezza della nostre forze, provare a focalizzare e coordinare la nostra azione, oltre che a darci una quotidianità di intervento. Certo, non vogliamo riprodurre l’ennesima micro-organizzazione che si pensa come luogo centrale della riorganizzazione dell’avanguardia e dell’avvio di un processo rivoluzionario, ricalcando pratiche e metodi di costruzione che riteniamo deleteri. Non vogliamo quindi rinunciare alle caratteristiche fondanti del nostro percorso, programmatiche ma anche di elaborazione e sperimentazione di prassi politiche. Però ControVento deve darsi una capacità di proposta e di intervento collettivo, superando la sua attuale configurazione come rivista politica e luogo di raccordo di militanze. Nella consapevolezza che le nostre dimensioni e la nostra dispersione rendono complicata una piena organicità d’azione, serve in ogni modo darsi una prassi comune che non si limiti ad un condiviso impianto programmatico, ma che sia in grado di individuare priorità, metodi e interventi portati avanti collettivamente. Solo così possiamo pensare di sopravvivere, interfacciandoci con conflitti di massa e processi politici dell’avanguardia. Questo è un passaggio organizzativo, ma in primo luogo un passaggio politico.
- Definire una proposta politica. Costruire una prassi collettiva vuol dire darsi una proposta compiuta, che oggi, a partire dal nostro impianto programmatico e dalla nostra analisi, non può che articolarsi su tre assi principali: il fronte unico di classe; l’unità d’azione della sinistra classista e internazionalista; la costruzione di un polo politico ed elettorale di classe.
- Il fronte unico di classe: in un contesto in cui la crisi economica mondiale si aggrava, la disoccupazione è in aumento ed il capitale internazionale è passato, in quasi tutti i paesi, a un’offensiva sistematica contro gli operai … si è ridestata una tendenza spontanea e letteralmente inarrestabile all’unità… I nuovi strati politicamente meno sperimentati che si destano alla vita attiva sognano l’unione di tutti i partiti operai e di tutte le organizzazioni operaie in generale e sperano di accrescere in questo modo la loro capacità di resistenza nei confronti dei capitalisti [Tesi sul fronte unico, Comitato Esecutivo del Comintern, 18 dicembre 1921]. Il fronte unico è stato allora esplicitamente pensato come l’unità nell’azione tra tutte le forze politiche di sinistra e i sindacati di tutti gli orientamenti, per riunire il lavoro contro le offensive padronali e reazionarie, senza annullare articolazioni e differenze programmatiche, ma costruendo un campo comune in cui queste possano confrontarsi e competere. I comunisti rivoluzionari, cioè, si pensano parte di una parte, avanguardia che agisce per conquistare la maggioranza di un’intera classe e quindi, anche, per costruire momenti di riunificazione dell’insieme della classe lavoratrice (movimenti di massa) e le sue strutture autorganizzate (i consigli o, in ogni caso, strutture di movimento rappresentative). Questo, oggi, vuol dire impegnarsi per sostenere momenti di lotta (scioperi, manifestazioni, mobilitazioni), in grado di riunire la moltitudine del lavoro, l’insieme delle sue soggettività sociali e politiche. Questo vuol dire da una parte contrastare le letture avanguardiste e le operazioni di frattura delle mobilitazioni, come impegnarsi perché invece nei movimenti interclassisti (antifascisti, femministi, ambientalisti, ecc) emergano con chiarezza i diversi punti di vista e le diverse fratture di classe.
- Unità d’azione della sinistra classista e internazionalista. Lottare per il fronte unico di massa, vuol dire anche provare a costruire entro questo fronte unico una polarizzazione classista e rivoluzionaria: cioè, nel momento in cui si sviluppano mobilitazioni, movimenti o dinamiche nelle quali vi è un’ampia rappresentazione delle soggettività politiche e sociali del proletariato, è importante che in questi contesti acquisiscano visibilità, peso, capacità di attrazione e anche di direzione le impostazioni classiste e internazionaliste, quelle cioè che sostengono prospettive di indipendenza e di unità internazionale della classe lavoratrice. Vista l’ampia frammentazione dell’attuale sinistra italiana, ma anche il fascino diffuso e l’ampia influenza di tradizioni staliniste, negriane, neokeynesiane o confusamente neocampiste, è infatti importante contrastare attivamente le tendenze che si sviluppano nelle lotte di matrice economicista, riformista, populista, nazionalista o in qualche modo neocampiste (che ritengono dominante un imperialismo e sostengono qualunque forza o campo ad esso alternativo, sia esso sostenuto da imperialismi minori, forze nazionaliste o regimi fondamentalisti). Vista la debolezza complessiva delle prospettive rivoluzionarie o centriste di sinistra, è utile che chi condivide questi comun denominatori (al di là delle differenti tradizioni, programmi o impostazioni politiche) provi a coordinarsi, per riuscire insieme a polarizzare dinamiche di massa o di larga avanguardia.
- Il polo di classe. Di fronte allo scompaginamento ed alla deriva della sinistra, potrebbe esser utile tornare a quella proposta politica che aveva caratterizzato negli anni Novanta la sinistra PRC, articolandola in questo nuovo contesto: il polo di classe. Oggi, infatti, è necessario ricostruire una presenza politica organizzata della classe lavoratrice, anche come polo elettorale, perché proprio in una stagione di frammentazione sociale quel terreno influenza immaginari e identità collettive. Il polo di classe è una formula politica algebrica, che sottolinea la necessità di una presenza politica indipendente della classe lavoratrice, alternativa ad ogni polo o alleanza progressista. La sua articolazione può esser molto diversa. Negli anni Novanta sottolineava l’esigenza di una rottura del PRC con il centro-sinistra, in alternativa alle proposte della maggioranza bertinottiana e cossuttiana. Quando il PCL è nato, il partito si è interpretato come il polo di classe (la sinistra che non tradisce), senza necessità di articolare altre proposte politico elettorali. Al secondo congresso del PCL (2011) fu però presentato un emendamento (33% dei consensi, 19% astenuti) che sottolineava come la costruzione del partito non deve esser autoreferenziale, ma deve rapportarsi ai compiti della fase politica. Anche se le elezioni, in regime borghese, non mettono in gioco il potere della classe dominante, hanno comunque un valore obiettivo, particolarmente nei momenti di crisi acuta; possono influenzare la dinamica dello scontro e i rapporti di forza fra le classi. La presenza, la proposta e il risultato ottenuto da un partito influenzano poi la percezione e la credibilità di quel partito agli occhi delle masse. Si apriva, quindi, la possibilità che di cartelli o alleanze elettorali classiste e rivoluzionarie, nel quale fosse riconoscibile il ruolo del partito. Una proposta che si inverò, in parte, alle elezioni 2018 con la lista Per una sinistra rivoluzionaria. Oggi, questa formula richiama la necessità di un polo politico ed elettorale che abbia al contempo un chiaro riferimento al lavoro, alternativo alla destra reazionaria e al campo largo, alle strategie nazionaliste come a quelle liberali. Una proposta che si confronta con una sinistra refrattaria a questa prospettiva: il PCL porta avanti una politica avanguardistica di auto-riproposizione politica ed elettorale; SCR si rilancia come PCR; SA tende ad accordarsi alle scelte delle forze maggiori, mentre queste si propongono come riaggregazioni oltre la classe lavoratrice (PaP su un suo versante populista/popolare, PRC su uno civico o generico, come Rivoluzione civile o Pace Terra Dignità), mentre AVS nel campo riformista non solo si definisce come ala del campo progressista, ma anche come semplice rassemblement dei movimenti sociali e dei diritti civili (vedi le liste delle ultime europee). Proporre oggi il Polo di classe, vuol dire allora porre il problema della ricostruzione di uno spazio politico autonomo e alternativo del lavoro, che in realtà non è assunto da nessuna delle attuali forze della sinistra. Nella discussione del Collettivo, comunque, pur essendoci una larga condivisione su questa proposta politica generale, rimane aperta una discussione sulla sua concreta applicazione in questo contesto particolarmente arretrato e, soprattutto, sulla possibilità di un suo fraintendimento nell’avanguardia e nella massa, proprio per le confuse pratiche politico-elettorali dell’ultimo decennio.
- Serrare le file da un punto di vista organizzativo. Lo sviluppo del collettivo deve essere anche organizzativo. In primis, ovviamente, nella militanza, nella partecipazione e attivazione dei componenti, nella loro presenza e capacità di elaborazione (aggiornamento sito, sviluppo social, volantini e manifestazioni, rivista). Vuol dire pensarsi e organizzarsi come struttura collettiva, individuando aree di intervento condivise su cui provare a focalizzare l’azione. Nel quadro del percorso che abbiamo avuto, sembra natura individuarne in particolare due: l’imperialismo di attrito, il contrasto alla militarizzazione sociale e alla destra reazionaria; il conflitto di classe nei rapporti di produzione, le sue forme e cicli di lotta. Il maggior impegno collettivo potrebbe rendere necessario anche la regolazione di un confronto politico più serrato, su ipotesi e scelte di carattere tattico o strategico, nel quadro della comune impostazione programmatica. Nel nostro impianto fondante c’è il riferimento generale al centralismo democratico come criterio di regolazione delle discussioni, in cui il confronto libero e paritario tra le diverse posizioni politiche non è un elemento accessorio della nostra tradizione e della nostra prassi. È il prodotto dell’esperienza concreta e tragica del movimento comunista, della torsione autoritaria e bonapartista che si è realizzata negli anni Venti nell’Unione sovietica, nella Terza internazionale, in tutti i partiti comunisti. La definizione della linea politica attraverso il confronto paritario di diverse posizioni, anche organizzate, è un nostro patrimonio imprescindibile per evitare degenerazioni nel partito e nella relazione tra classe e partito [3°congresso del PCL]. In una fase transitoria, comunque, ControVento ha compreso diverse analisi, posizioni e collocazioni politiche nella sua prassi quotidiana. Oggi si ritiene importante confermare questa impostazione, mantenendo l’ampio confronto tra analisi, proposte e anche posizioni diverse (nel comune tratto programmatico), facendole vivere non solo nel dibattito del collettivo ma anche nel confronto pubblico (come fu in diversi momenti della stessa esperienza bolscevica), con una libera espressione di eventuali posizioni alternative e un orientamento politico, se necessario, a maggioranza. In questo quadro, si ritiene utile affidare al Direttivo la piena direzione del giornale, del sito e degli strumenti di comunicazione (redazione politica) e costruire assemblee periodiche, tendenzialmente mensili, dell’Associazione.