LE FONTI ENERGETICHE: IL CAMPO DI BATTAGLIA DEI BLOCCHI IMPERIALISTI

 Due anni di pandemia hanno accelerato la crisi del capitalismo. Lo scontro tra blocchi imperialisti e la successiva guerra scoppiata duramente in Ucraina dopo l’invasione delle truppe della Federazione Russa, non è in atto solo nelle grandi pianure di quella parte di Europa, ma si sta aggravando in ogni prospettiva a livello globale. 

Il controllo delle fonti energetiche e dei loro mercati è un altro campo di battaglia.  Le due principali fonti di energia, nella mistificazione capitalistica verso una  inesistente transizione ecologica, restano in questa fase il gas naturale e il petrolio. Per quest’ultimo dentro il fronte occidentale in contrapposizione alla Russia, la UE con innumerevoli contraddizioni ha preso la decisione di vietare agli operatori al suo interno il trasporto e l’investimento finanziario del petrolio russo attraverso le linee e le rotte marittime.

Sono esclusi per ora i paesi UE senza sbocchi in mare che usufruiranno di oleodotti come l’Ungheria.

Questo sta sconvolgendo i mercati delle materie prime a livello globale come in una grande scacchiera. I principali produttori mondiali interagiscono dentro l’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries)  la potente organizzazione nata a Bagdad nel 1960 che comprende Arabia SauditaIraqIranKuwait, Venezuela, Algeria, Angola, Emirati Arabi Uniti, Libia, Nigeria, R.D.del Congo, Gabon.  Ma altri potenti esportatori agiscono come battitori liberi: Russia, Sudan, Canada, Messico, Regno unito, Norvegia e Stati Uniti.

Nel 2016 si sono aggiunti all’ OPEC  come membri esterni dieci nazioni che hanno trasformato la storica organizzazioni in OPEC PLUS (OPEC+): Russia, Messico, Kazakistan, Azerbaijan, Bahrein, Brunei, Malesia, Oman, Sudan e Sudan del Sud.

Quello che però sta accadendo sta rovesciando il tavolo di tutti gli accordi precedenti rimescolando tutte le carte del gioco mondiale.

Sono in atto tentativi di espulsione della Russia (al quarto posto della produzione mondiale) da OPEC+.  Il ruolo politico del Venezuela, (ottavo produttore mondiale) e del suo presidente Maduro vengono riabilitati e sono in corso trattative per aumentare l’esportazione del suo petrolio non solo verso gli USA ma addirittura permettendo accordi con l’italiana ENI e la spagnola Repsol.

Accordi assolutamente impensabili fino ad un anno fa se si considerano i vari tentativi dei governi del blocco occidentale per destituire Maduro. L’ India raddoppierà l’importazione del petrolio russo per la sua convenienza.

Infatti la speculazione sui prezzi intanto ha toccato la prima settimana di giugno la quotazione del barile di greggio  a 120 $ .

Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov ha contattato i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo in pratica controllato dall’Arabia Saudita (primo produttore mondiale di greggio) per un loro mantenimento equidistante e senza la loro adesione alle sanzioni imposte da USA ed Europa contro la Russia.

In questo scontro globale Mosca non ha alcun interesse che venga aumentata la produzione di greggio come vorrebbe il governo Biden che permetta un abbassamento dei prezzi per metterla in difficoltà.

Entrano in gioco  anche gli approvvigionamenti alimentari in Medio Oriente e i rapporti tra Russia ed IRAN tradizionale nemico dei paesi del Golfo.

L’ IRAN (secondo produttore mondiale dopo l’ Arabia Saudita) in questo grande sconvolgimento globale si trova ora al centro degli interessi contrapposti.  Gli USA hanno tutto l’interesse a normalizzare degli accordi sul nucleare iraniano, congelando le sanzioni internazionali, in cambio dell’aumento di produzione e al commercio di greggio ma nello stesso tempo rischiano di contrapporsi agli interessi di Israele e Arabia Saudita.

Contemporaneamente l’ IRAN essendo uno stretto alleato della Russia alza il prezzo di questo legame chiedendo più spazio di azione in Siria e nello Yemen tramite le sue forze satellite Hezbollah e Huthi. 

I giacimenti di petrolio e la spartizione della Libia (settimo produttore mondiale) sono l’obbiettivo  delle sfere di influenza imperialiste: della Turchia, della Russia, del blocco occidentale. 

Chi controlla i giacimenti petroliferi controlla la Libia. Più di un anno fa in una fase di scontri militari la Russia appoggiava il generale Haftar (comandante dell’Esercito nazionale libico, Enl) verso Tripoli mentre la Turchia ha contribuito attivamente alla difesa della capitale e delle posizioni del Governo di accordo nazionale (Gna), riconosciuto dall’Onu e da parte del blocco occidentale.

Erdogan dispone di numerose basi sulla costa mediterranea: da Zuwāra a Misurata e Tripoli. Zone di influenza anche dell’ENI e degli accordi con il governo italiano.  La Russia invece tramite le milizie del Gruppo Wagner protegge i pozzi “fortificati” controllati dal generale Haftar.

In tutta questa girandola di interessi contrapposti, la domanda di petrolio e dei suoi derivati da parte della Cina e dell’Europa è cresciuta in modo esponenziale con la ripresa dopo l’ emergenza pandemica. Le contraddizioni e gli scontri tra i vari blocchi imperialisti per il controllo delle fonti energetiche si sono acuiti con lo scoppio delle guerra in Ucraina.

 

PRIOLO LA  GRANDE RAFFINEREIA RUSSA    NELL’ ITALIA  ANELLO DEBOLE DELL’ IMERIALISMO OCCIDENTALE

 

Le sanzioni contro il petrolio russo di questi ultimi giorni decise dai paesi della UE e della NATO hanno colpito la più grande raffineria presente sul territorio italiano a Priolo e la terza per grandezza in Europa: la ISAB (Industria Siciliana Asfalti e Bitumi) proprietà della della Lukoil, secondo produttore russo di petrolio tramite la società svizzera Litasco SA del potente oligarca Vagit Alekperov.

All’ ISAB sono presenti 3500 lavoratori e compreso l’ indotto circa 10.000, ma è tutta la provincia di Siracusa totalmente legata economicamente alla raffineria. La ISAB è ad alto rischio di chiusura. Nel governo italiano si sta già parlando di una possibile nazionalizzazione degli impianti di Priolo. Non è difficile immaginare che se si verificasse questa ipotesi, il suo controllo passerebbe all’ ENI. I prodotti raffinati dal petrolio di provenienza russa e trasformati raggiungono il 13% di tutta la produzione nazionale. La guerra tra Russia e Ucraina è chiaramente l’occasione collaterale per risolvere le dispute imperialiste nel Mediterraneo occidentale. L’Italia è l’anello debole sia nella NATO che dentro gli interessi imperialisti europei. Togliendo alla Lukoil la gestione di una parte dei mercati italiani ed europei si darebbe ad ENI e all’Italia un maggiore protagonismo nel Nord Africa nella gestione di fonti libiche in concorrenza proprio con la Russia e la Turchia e alla creazione di un futuro Hub per il futuro petrolio venezuelano e nord americano.

 

Gli imperialismi in competizione

Le conseguenze delle sanzioni colpiscono gli strati più deboli della popolazione di entrambi i fronti, aumentano a dismisura i profitti delle multinazionali legati alla gestione delle fonti energetiche e alle loro speculazioni e non ultimo finanziano anche le guerre dei blocchi imperialisti contrapposti.

I costi sociali generati dai prodotti energetici come il gas naturale e appunto il petrolio si stanno facendo già sentire pesantemente sui prezzi dei generi di prima necessità e aumentano a livelli molto alti l’inflazione.

Queste ferite sociali non colpiscono solo i lavoratori e gli strati meno abbienti del blocco occidentale. Si sviluppa il neo colonialismo in particolare in Africa dove gli interessi imperialistici si stanno scontrando con virulenza tra Europa, Cina e Russia.  Le conseguenze delle pesanti difficoltà economiche stringono di più il cappio alle popolazioni dei paesi più poveri.

Le risorse naturali diventano merce di scambio con gli approvvigionamenti alimentari, in particolare di grano provenienti dalla Russia e dall’Ucraina in conflitto, aumentando gli indebitamenti e i ricatti politici.  Accrescono i focolai delle rivolte di massa e la loro repressione. I diritti democratici e i minimi livelli di sostentamento vengono calpestati. Il divario tra i paesi  ricchi e quelli poveri e depredati diventa ogni giorno più grande.

 

I marxisti rivoluzionari conoscono bene queste dinamiche della fase suprema del capitalismo. Lenin nel 1916 ne dava una definizione precisa:

Per l’imperialismo non è caratteristico il capitale industriale, ma quello finanziario. Non per caso in Francia, in particolare il rapido incremento del capitale finanziario, mentre il capitale industriale decadeva dal 1880 in poi, ha, determinato un grande intensificarsi della politica annessionista (coloniale). E’ caratteristica dell’imperialismo appunto la sua smania non soltanto di conquistare territori agrari, ma di metter mano anche su paesi fortemente industriali (bramosie della Germania sul Belgio, della Francia sulla Lorena), giacché in primo luogo il fatto che la terra è già spartita costringe, quando è in corso una nuova spartizione, ad allungare le mani su paesi di qualsiasi genere, e, in secondo luogo, per l’imperialismo è caratteristica la gara di alcune grandi potenze in lotta per l’egemonia, cioè per la conquista di terre, diretta non tanto al proprio beneficio quanto a indebolire l’avversario e a minare la sua egemonia. (per la Germania, il Belgio ha particolare importanza come punto d’appoggio contro l’Inghilterra; per questa a sua volta è importante Bagdad come punto d’appoggio contro la Germania, ecc.). ”   

Un riferimento storico che è la breve sintesi della fase storica che stiamo vivendo oggi.

Come marxisti abbiamo il compito di ricostruire un movimento rivoluzionario dei lavoratori e degli sfruttati in ogni parte del mondo e di accrescere la coscienza di classe che tale possa fermare le guerre, le tragedie dell’ umanità, la distruzione del pianeta generate dal capitalismo in crisi e da tutti gli imperialismi. 

Ruggero Rognoni

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