[pubblicato nel “Calendario del popolo” n. 573 (1993)]
Questo testo riproduce un saggio composto nel dicembre 1992 e pubblicato originariamente sulla rivista “Calendario del popolo”, (n. 573, febbraio 1994, pp. 24-28). Tocca un tema pressoché sconosciuto in Italia, ossia la politica ambientale dei primi governi sovietici. Dato il suo interesse, e la difficoltà di recuperare i vecchi numeri del “Calendario del popolo”, mi pare opportuno renderlo disponibile. Completa la nota una scheda tratta dallo speciale dedicato a Lenin su “Marxismo rivoluzionario” n. 3 (gennaio 2004). (t.b., 24-07-09)
Un aspetto poco noto e sorprendente dei primi anni della rivoluzione russa è la politica “ecologica” condotta dal governo sovietico e, in questo ambito, il ruolo propulsivo svolto da Lenin in prima persona. Oggi, nel momento in cui l’ideologia dominante pretende di liquidare la vicenda storica del comunismo come un ininterrotto seguito di crimini e di errori, e il marxismo come una utopia velleitaria superata dalla storia, per tutti coloro che operano per la rifondazione comunista, cioè per ricostruire un partito, un pensiero e una prassi comuniste all’altezza dei problemi del presente, riveste un indubbio significato scoprire anche in questo campo, in precedenza poco studiato, l’insospettata vitalità e la bruciante attualità delle fonti originarie della propria ispirazione teorica e politica. In effetti, il senso di queste note (che anticipano alcuni risultati di uno studio più ampio che speriamo di pubblicare presto per esteso) vuol essere proprio questo: mostrare l’interesse anche in questo campo di un “ritorno alle origini”, di reinterrogare l’esperienza sovietica dei primi anni della rivoluzione.
Vedremo qui come alcuni temi di grande importanza (il rapporto fra sviluppo e tutela dell’ambiente, fra socialismo ed ecologia, fra presente e futuro) che generalmente si crede siano stati posti e discussi per la prima volta in Occidente negli anni sessanta-settanta, fossero invece già venuti alla luce negli anni venti in Unione Sovietica, nel quadro del primo audace tentativo di tracciare una via non capitalistica di sviluppo, cioè non anarchica ed incontrollata, ma coscientemente gestita e razionalmente orientata. Vedremo anche come molte delle prime intuizioni e delle prime realizzazioni positive del governo sovietico siano andate in seguito perdute (dagli anni trenta in poi), travolte nel più generale processo di involuzione del sistema sovietico costituito dall’affermazione dello stalinismo e dalle sue conseguenze in campo economico e scientifico. E’ questa involuzione che spiega, d’altra parte, perché il bilancio finale del cosiddetto “socialismo reale” sia, anche in questo campo, piuttosto negativo e non qualitativamente diverso da quello del capitalismo occidentale. Ma essa prova anche, per contro, che ben diverse erano state l’ispirazione originaria dell’Ottobre e di Lenin e la strada che era stata in un primo tempo tracciata. E’ a questa ispirazione e a questa strada che, a mio avviso, bisogna oggi rifarsi.
La rivoluzione e l’ecologia
Fino a pochi anni fa in Occidente si conosceva ben poco della politica di protezione della natura attuata nei primi anni del potere sovietico anche perché – come scrive Douglas Weiner, lo studioso americano a cui si deve il primo serio studio storico comparso in Occidente su questa materia (Douglas Robert Weiner,Models of Nature. Ecology, Conservation, and Cultural Revolution in Soviet Russia, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1988) – gli studiosi occidentali ritenevano pura propaganda l’affermazione degli storici sovietici che attribuivano a Lenin l’ispirazione della politica sovietica di protezione della natura. La ricerca di Weiner, condotta in buona parte negli archivi sovietici e sui materiali originali, dimostra invece che gli storici sovietici su questo punto avevano perfettamente ragione.
Va detto che una fiorente scuola di ecologia forestale si era sviluppata in Russia già prima della rivoluzione. Essa aveva già condotto alla presa di coscienza (almeno negli ambienti scientifici) della necessità di un attivo intervento di protezione della natura, tant’è vero che le prime proposte di tutela e le prime realizzazioni, ispirate a quanto si faceva negli stessi anni nel resto del mondo e in particolare negli Stati Uniti e in Europa, risalgono a prima dell’Ottobre. D’altra parte, anche negli ambienti scientifici era diffusa la convinzione che per far uscire il paese dall’arretratezza e dall’oscurantismo zarista erano necessari cambiamenti politici e sociali radicali. Per queste regioni, il rovesciamento dello zar da parte della rivoluzione di febbraio viene salutato con favore dagli ecologi. Anche il movimento russo per la conservazione della natura, che aveva mosso i primi passi negli anni precedenti, si avvantaggia del nuovo clima sociale effervescente, moltiplica i suoi aderenti e comincia a discutere un ambizioso progetto di parchi nazionali da realizzare in tutto il paese. D’altra parte, le devastazioni provocate dalla guerra e dai conflitti sociali che la accompagnano (in questi anni vengono completamente sterminati l’uro e il bisonte europeo e molte foreste sono devastate) suscitano le preoccupazioni dei conservazionisti, ma non solo le loro. Nel suo libro Weiner ricorda un episodio molto significativo. Allarmato dalla notizia che la famosa riserva naturale di Askania-Nova, nell’Ucraina meridionale, rischia la distruzione a causa degli scontri di classe nelle campagne, il soviet di Kronstadt nell’estate del 1917 manda al governo provvisorio una risoluzione in cui chiede di intervenire prontamente per salvare l’importante complesso naturalistico.
Inizialmente, sono invece molto ristrette le simpatie raccolte fra gli ecologi dai bolscevichi e dalla rivoluzione d’Ottobre. Ma i più lucidi fra di essi, come Grigorij Aleksandrovic Kozhevnikov, animatore del movimento per la conservazione, coscienti della esigenza di cambiamenti politici e sociali radicali per avviare una politica razionale di conservazione in Russia, appoggiano senza riserve la modernizzazione delle strutture sociali ed economiche del paese. “Questo appoggio si trasforma più tardi in collaborazione col nuovo regime sovietico”, scrive Weiner. In effetti, soprattutto per merito di alcune lungimiranti iniziative dello stesso Lenin, le diffidenze vengono superate e i primi anni del potere sovietico – ancorché nell’immediato disastrosi per l’ambiente per le conseguenze della guerra civile e per la disastrosa situazione economica del paese – gettano le basi di una feconda collaborazione con la parte più avanzata del mondo scientifico e vedono il varo di una legislazione per la protezione della natura tra le più avanzate dell’epoca.
Il ruolo di Lenin
Dopo il decreto “sulla terra”, dei primi giorni della rivoluzione, che mette nelle mani dello stato tutte le risorse naturali, sottraendole allo sfruttamento dei privati e creando le premesse per una loro gestione razionale, due sono gli episodi più significativi di questa prima fase.
Il primo è l’accordo firmato nell’aprile del 1918 fra il governo sovietico, nella persona del commissario del popolo all’istruzione Anatolij Lunaciarskij, e l’Accademia delle scienze, col quale il potere sovietico riconosce l’autonomia delle istituzioni scientifiche e universitarie in cambio di una leale collaborazione da parte di queste ultime. Questo accordo corrisponde ad un preciso orientamento di Lenin che vede favorevolmente una politica pragmatica di coinvolgimento di tutte le forze scientifiche e tecniche del paese, al di là della loro disposizione ideologica, purché disposte a collaborare allo sviluppo del paese.
Il secondo evento è meno noto. Si tratta dell’incontro che avviene nel gennaio del 1919 fra Lenin e Nikolaj Podiapolskij, un agronomo bolscevico di Astrakan, città nella regione del Volga, che segna il punto di partenza della politica sovietica di tutela della natura. Vale la pena di riferire l’episodio come lo racconta Weiner. Agli inizi del 1919 il governo sovietico è impegnato in una battaglia di vita o di morte contro l’armata del generale “bianco” Kolciak che ha superato gli Urali e minaccia il cuore dei territori controllati dai “rossi”. Malgrado questa situazione difficile, il 16 gennaio 1919 Lenin trova il tempo, su sollecitazione di Lunaciarkij, di ricevere al Cremlino Nikolai Podiapolskij, responsabile del commissariato del popolo all’istruzione ad Astrakan, giunto a Mosca per perorare due proposte: aprire una università nella sua città e istituire una riserva naturale (zapovednik, in russo) nel delta del Volga (in effetti la prima area naturale protetta istituita dal potere sovietico, l’11 aprile 1919).
Racconta più tardi Podiapolskij che, dopo averlo ascoltato e “dopo avermi fatto qualche domanda sulla situazione militare e politica della regione di Astrakan, Vladimir Ilic diede la sua approvazione a tutte le nostre iniziative e in particolare a quella che riguardava il progetto di zapovednik. Dichiarò che la causa della conservazione era importante non solo per la regione di Astrakan, ma altrettanto per l’intera repubblica, e che egli la considerava una priorità urgente”. Lenin propone pertanto all’agronomo di elaborare immediatamente un progetto di legge sulla conservazione da applicare a tutto il paese. Già il giorno successivo, dopo aver lavorato freneticamente con l’aiuto di alcuni legali e di alcuni attivisti rintracciati a Mosca lì per lì, Podiapolskij consegna il testo per il parere di Lenin e, con sua grande sorpresa, lo riceve indietro nella giornata stessa, corredato delle osservazioni del capo del governo.
In seguito, il provvedimento viene mandato dallo stesso Lenin per l’approvazione definitiva al commissariato del popolo all’istruzione. Non è una una scelta casuale: con acuta lungimiranza, Lenin vuole infatti che la responsabilità della protezione della natura sia affidata a un organismo che non ha un interesse immediato nello sfruttamento delle risorse naturali (come i ministeri economici) per garantirgli la massima autonomia e la massima efficacia nell’espletamento dei suoi compiti. “Una scelta molto oculata”, osserva Weiner, carica di conseguenze positive (finché fu rispettata). Dopo un iter burocratico non privo di ostacoli (sollevati non a caso dai ministeri economici), il decreto “Sulla protezione dei monumenti della natura, i giardini e i parchi”, firmato personalmente da Lenin, diviene legge dello stato sovietico il 16 settembre 1921. Punto qualificante è l’attribuzione al commissariato all’istruzione delle competenze in materia di protezione della natura e della facoltà di istituire parchi nazionali (zapovedniki) in qualsiasi parte del territorio della nazione giudicato di particolare valore ambientale, scientifico o storico-culturale. Il decreto, inoltre, proibisce nei parchi nazionali ogni attività economica (caccia, pesca, raccolta di uova o di piante, ecc.) non espressamente autorizzata. Un altro risultato dell’incontro del gennaio 1919 è la nascita nella primavera dello stesso anno della Commissione provvisoria per la conservazione, a cui partecipano alcuni tra i più famosi accademici e scienziati russi. Tra le prime realizzazioni di questo organismo c’è il primo parco nazionale della Russia sovietica: l’Ilmenskij zapovednik, parco mineralogico negli Urali meridionali interamente dedicato all’attività scientifica, il primo del suo genere in tutto il mondo, particolarmente caldeggiato, fra gli altri, dal mineralogista Vladimir Ivanovic Vernadskij, uno dei maggiori studiosi europei dell’epoca. Il decreto istitutivo viene firmato, ancora una volta da Lenin, il 4 maggio 1920.
Le realizzazioni degli anni venti
Tutta una serie di altri importanti provvedimenti per la tutela delle foreste, per la disciplina della caccia e per la protezione della fauna selvatica vedono la luce nel periodo 1918-1923. Questo, tuttavia, non è un periodo facile per la politica ambientale, perché il paese è sconvolto dalla guerra civile e l’azione del governo è costantemente condizionata da drammatici problemi di bilancio. “Per fortuna il periodo di Lenin – osserva Weiner – ha lasciato solide fondamenta sulle quali costruire”. I provvedimenti di questo primo periodo, infatti, costituiscono la base per le importanti realizzazioni della seconda metà degli anni venti, quando con la fine delle operazioni belliche e con il varo della Nuova politica economica (NEP), l’economia sovietica riprende rapidamente slancio e vengono avviate nuove iniziative in molti campi. E’ questo il periodo d’oro dell’ecologia e del movimento conservazionistico in Urss. Vengono creati numerosi zapovediniki, la cui area totale raggiunge i 40 mila kmq nel 1929. Cattedre di ecologia vengono istituite un po’ in tutte le principali università . Si sviluppa un vero e proprio movimento per la conservazione della natura, largamente autonomo dal governo comunista, dal quale riceve comunque molti appoggi. Nel 1924 il commissariato all’istruzione crea la Società panrussa di conservazione con lo scopo di “promuovere con tutti i mezzi l’attuazione pratica della conservazione… e di risvegliare l’interesse della società”. La conservazione viene inserita nei programmi scolastici. Viene pubblicata la rivista “Okrana Prirodi”(Conservazione della natura) che dedica dei servizi anche ai parchi nazionali degli altri paesi. Nel 1925 viene istituito il Goskomitet, comitato statale incaricato di sovrintendere e coordinare la politica di protezione della natura e la gestione dei parchi nazionali. Tra le associazioni che svolgono un ruolo importante in questo campo vi è anche l’Ufficio centrale per lo studio delle tradizioni locali, creato nel 1922 sotto l’egida dell’Accademia delle scienze, il quale è una vera associazione di massa diretta da scienziati, che alla fine degli anni venti conta circa sessantamila iscritti, più di duemila circoli e una notevole indipendenza dal governo.
Materialismo marxista ed ecologia scientifica
Interessante l’ispirazione “ideologica” di questa politica e di questi movimenti.Secondo Weiner, si attua in questo periodo un fecondo dialogo fra alcuni degli esponenti più attenti e aperti del nuovo potere e l’ala avanzata degli ecologi e del movimento conservazionistico. I primi, sulla scia di Lenin e del materialismo marxista che concepisce la società umana come interna alla natura, giudicano parte essenziale di una razionale politica socialista una “saggia gestione” delle attività produttive e delle risorse naturali (foreste, materie prime, risorse faunistiche, varietà fitobiologiche, ecc.), per la quale ci si deve ovviamente ispirare al costante sviluppo delle conoscenze scientifiche. I secondi rappresentano la giovane generazione di studiosi molti dei quali, prima della guerra e della rivoluzione, hanno avuto modo di viaggiare, studiare e lavorare all’estero e di partecipare ai dibattiti ecologici internazionali. Essi in genere condividono l’ispirazione “modernizzatrice” del nuovo regime sovietico col quale accettano di collaborare di buon grado. Riguardo alla protezione della natura essi non ragionano più nei termini della sensibilità romantico-conservatrice della precedente generazione, ma secondo un nuovo approccio che si può ben dire “scientifico”, cioè ispirato ai più recenti sviluppi delle scienze ecologiche. In questo clima promettente, tra la metà degli anni venti e i primi anni trenta, gli ec ologi sovietici partecipano al rinnovamento delle scienze ecologiche con contributi di primo piano: Vladimir Vernadskij pubblica nel 1926 i saggi in cui propone il moderno concetto di biosfera; Vladimir Stanchinskij tra il 1929 e il 1931 studia per la prima volta al mondo le strutture trofiche dei sistemi ecologici; Georgij Gauze, all’inizio degli anni trenta, propone il principio di esclusione competitiva che sviluppa le intuizioni proposte pochi anni prima dall’italiano Vito Volterra e dall’americano Alfred Lotka. E questi sono solo alcuni esempi.In questo quadro si afferma anche quello che è l’originale proposta russa in materia di zone protette, lozapovednik, tipo di parco nazionale interamente sottratto alle attività umane e riservato alla sola ricerca scientifica sulla natura vergine, la quale deve assumere il ruolo di “modello” (etalon) sia per comprendere gli equilibri naturali originari sia per studiare i modi di una gestione razionale delle foreste, delle colture, ecc. da parte dell’uomo.
Lo scontro sui piani quinquennali e la repressione
Questo quadro purtroppo cambia alla fine degli anni venti, in coincidenza con l’avvio del primo piano quinquennale, mentre si acuisce lo scontro dentro al gruppo dirigente comunista che porta all’espulsione di Trotskij dall’Urss e alla rottura tra l’ala buchariniana e quella del segretario generale. Stalin, come è noto, lancia in questo periodo l’industrializzazione “a tappe forzate” del paese, cui fa seguito la crisi dei rapporti con le campagne e la collettivizzazione forzata. Per l’Urss è di nuovo un periodo di crisi e di conflitti. Il rapporto dialettico fra il potere e gli ecologi finisce. A questi ultimi ora si chiede di assoggettarsi agli imperativi dello sviluppo economico fissati dall’alto. Nello stesso tempo, al libero dibattito filosofico-scientifico e al confronto delle posizioni culturali subentra la “bolscevizzazione” delle scienze e della cultura. Si tratta in realtà di una uniformizzazione ideologica imposta d’autorità, con poco rispetto delle esigenze della ricerca scientifica e della verità. Di fronte ai primi effetti negativi sull’ambiente dello sviluppo industriale accelerato (aumento dell’inquinamento e del degrado in certe zone, sfruttamento eccessivo di certe risorse naturali, ecc.), in un primo momento gli ecologi sollecitano la revisione degli obiettivi dei piani economici e avanzano idee innovative come quella di studiare in anticipo l’impatto ambientale delle scelte economiche, per sottoporle ad una disciplina ecologica razionale. Ma al potere non c’è più Lenin e, dal 1929, a capo del commissariato del popolo all’istruzione non c’è più Lunaciarskij. I burocrati che affermano in questi anni la loro assoluta preminenza negli apparati in grazia della loro fedeltà al segretario generale, sono sensibili soltanto agli imperativi economici, concepiti peraltro in un senso molto ristretto. Nel momento in cui ben più terribili tragedie accompagnano lo scontro politico ai vertici del potere, gli ecologi “recalcitranti” vengono rapidamente rimossi dai loro posti e qualche volta incarcerati. Questa sorte tocca nel 1934 anche a Vladimir Stanchiskij, in quel momento il più originale teorico russo dell’ecologia e il più tenace difensore della politica di conservazione. Va purtroppo perduto il libro a cui egli stava lavorando in quel momento e che si occupava di temi teorici di estrema importanza. Finisce così l’originale esperimento che ha visto per un quindicennio una feconda collaborazione tra il socialismo e l’ecologia e che ha prodotto risultati di assoluto rilievo.
Col prevalere del modello staliniano, si afferma invece una ideologia dello sviluppo e del rapporto con la natura di marca grettamente economicistica. Lo sviluppo viene misurato in base ai milioni di tonnellate di carbone e di acciaio prodotti, e alle dimensioni ciclopiche delle realizzazioni industriali. Simbolo di questo periodo è l’Hidroproject, l’ente incaricato di realizzare in tutto il paese canali, dighe e impianti idroelettrici, che certo aiutano la rapidissima trasformazione industriale del paese, ma al prezzo di ingenti devastazioni ambientali. All’obiettivo di una prudente gestione ambientale fondata sulle conoscenze scientifiche, subentra ora la pretesa di “trasformare la natura” e di “correggerne gli errori millenari”, come suonano alcune dichiarazioni di Stalin. Una pretesa che nei decenni successivi avrà pesanti conseguenze, non del tutto estranee al declino e alla crisi a cui andrà incontro il “socialismo reale” a partire dalla metà degli anni settanta. Ma questo è già un altro capitolo della vicenda dell’ecologia in Urss, che potrebbe essere trattato in un prossimo articolo.
(15.12.1992)
Scheda
LE PRIME LEGGI SOVIETICHE DI PROTEZIONE DELLA NATURA
[pubblicato in “Marxismo rivoluzionario” n. 3 (gennaio 2004)]
Porta la firma di Lenin il decreto “Sulla terra”, emanato due giorni dopo la presa del potere, che stabilisce la proprietà statale delle foreste, delle acque e dei minerali del sottosuolo e riserva allo Stato il potere di disporne. Questo provvedimento soddisfatta una delle rivendicazioni fondamentali dei conservazionisti ma la situazione di emergenza creata dalla guerra, e più tardi la guerra civile, non favoriscono certo un’applicazione corretta di questo principio.
Già agli inizi del 1918 il giornale “Lesa respubliki” (foreste della repubblica) protesta vivacemente per il taglio indiscriminato dei boschi autorizzato dalle autorità. In risposta a queste allarmi, il 14 maggio 1918 il governo emana la legge fondamentale “Sulle foreste”, firmata personalmente da Lenin, che intende moderare gli eccessi. La legge introduce l’idea di un piano e del controllo statale sul patrimonio forestale e crea l’Amministrazione centrale delle foreste incaricata di gestire il patrimonio forestale sulla base dei criteri di una produzione sostenibile e di una riforestazione pianificata. A questo scopo le foreste vengono distinte in sfruttabili e protette. Fra gli altri scopi della legge si indicano poi il controllo dell’erosione, la protezione dei bacini fluviali e la “preservazione dei monumenti della natura”.
Purtroppo la guerra civile vanifica in gran parte questi sforzi iniziali e solo dopo la sua cessazione è possibile riprendere una politica di gestione razionale del patrimonio forestale. L’apertura ai produttori privati, introdotto con la Nuova politica economica, porta un nuovo ordine di problemi. Sono introdotti diritti di sfruttamento acquistabili in condizioni di concorrenza presso gli organi locali del Commissariato all’agricoltura (Narkomzem) che ha la piena autorità del settore. L’Amministrazione forestale continua ad esercitare un ruolo di controllo. Per disciplinare la nuova situazione, il 7 luglio 1923 viene introdotto il nuovo “Codice forestale” ispirato, come il decreto del 1918, allo spirito di una gestione razionale e sostenibile che elenca, fra l’altro, le aree da proteggere come monumenti della natura o come riserve naturali. Il nuovo codice, inoltre, proibisce il taglio nelle province la cui superficie comprende meno dell’8% di boschi; le amministrazioni provinciali possono autorizzare l’abbattimento (per non oltre cinquanta ettari) dove l’area forestale supera il 35% del totale. In tutti gli altri casi il permesso deve essere dato dall’amministrazione centrale. Secondo Weiner, queste misure risultarono abbastanza efficaci, almeno fino alla fine degli anni venti quando l’avvio dei piani quinquennali diede inizio a una “nuova tempesta”.
L’esportazione delle pellicce era tradizionalmente una voce importante nel bilancio commerciale della Russia e la disciplina della caccia era da tempo un obiettivo del movimento conservazionista. Il primo disegno di legge di disciplina della caccia viene proposto nel febbraio 1919 da una commissione del Dipartimento tecnico-scientifico del Consiglio dell’economia nazionale di cui fanno parte alcuni specialisti come Shillinger, Zhitkov e Kozhevnikov. Un provvedimento-stralcio, che disciplina le armi e le stagioni venatorie, firmato da Lenin, è adottato già alla fine di maggio. Un provvedimento organico (che tra l’altro proibisce del tutto la caccia all’alce e al gatto selvatico) è pronto il 1 agosto 1919 ma l’iter della legge si blocca per controversie sulle competenze fra il Commissariato all’educazione e quello all’agricoltura. E’ questo il primo episodio di un conflitto interburocratico sulle competenze in materia di conservazione che si ripresenterà sistematicamente per i successivi quattordici anni. Il decreto viene probabilmente salvato dall’intervento di Shillinger. Firmato da Lenin, diventa legge il 24 luglio 1920 col titolo “Sulla caccia”. Esso conferisce al Narkomzem la piena responsabilità nel settore codificando la biforcazione istituzionale in materia di conservazione. L’Amministrazione centrale della caccia esercita la supervisione sui regolamenti dell’attività venatoria a scopo sportivo ed economico e ha la facoltà di stabilire riserve di caccia, laboratori scientifici e stazioni di ibridazione degli animali e degli uccelli. Essa ha anche il compito di liquidare i parassiti e i predatori (fra cui il lupo). Agli organi scientifici dell’Amministrazione della caccia collaborano inizialmente studiosi di primo piano del settore, fra i quali Kozhevnikov, Shillinger e Zhitkov, ma le sue negligenze gli tolgono rapidamente credito: i primi due lasciano il Narkomzem per il Narkompros nel 1925. (Fonte: Weiner, Models of Nature, pp. 24-30).
[T.B.]