di Tiziano Bagarolo

[pubblicato su “Bandiera Rossa”, n. 10 del 29 marzo 1981]

Questo articolo apriva il dossier “Harrisburg, 28 marzo 1979: l’incubo nucleare”, pubblicato su “Bandiera Rossa” n. 10 del 29 marzo 1981, dedicato all’incidente accaduto due anni prima alla centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania, Stati Uniti. Nel pezzo si diceva che “il recupero di funzionalità della centrale è tutt’altro che sicuro”. Sappiamo oggi che non è stato possibile riattivare il reattore di TMI-2, che le operazioni di liquidazione dell’incidente si sono concluse solo una quindicina di anni dopo (cfr. il rapporto della NCR su TMI-2) e che tuttora il sito resta monitorato. L’incidente di TMI fu uno spartiacque nella storia del nucleare, prima ancora della catastrofe di Chernobyl.

Il grafico riprodotto qui sopra è eloquente. Illustra l’andamento della costruzione di centrali nucleari nel mondo. Si può vedere che i problemi per il nucleare erano cominciati prima di TMI e di Chernobyl. Fu il primo incidente, tuttavia, non il secondo, a segnare la svolta (anche se Chernobyl bloccò per vent’anni ogni costruzione). Non solo negli Stati Uniti, ma in gran parte del mondo gli ordinativi per nuove centrali nucleari si fermarono, molte ordinazioni furono cancellate, diversi impianti giudicati insicuri furono fermati, vari Paesi decisero di sospendere o di abbandonare l’utilizzo dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica (ricordo fra gli altri la Svezia, la Germania e l’Australia). La decisione italiana (che arriverà con i referendum del novembre 1987) non fu dunque né prematura né isolata. [t.b., 30-11-2009]

Mercoledì 28 marzo 1979: pochi secondi dopo le quattro del mattino, alcune pompe del sistema di alimentazione dei generatori di vapore della seconda centrale nucleare di Three Mile Island in Pennsylvania (USA) andarono in trip, cioè si bloccarono improvvisamente. Immediatamente l’impianto di sicurezza fece arrestare automaticamente la turbina e l’alternatore. Essendo venuta a mancare l’alimentazione dell’acqua nei generatori a vapore, le temperatura dell’acqua del primo circuito, quello che asporta il calore dal reattore, cominciò rapidamente ad innalzarsi, determinando al tempo stesso un innalzamento della pressione. L’aumento di pressione provocò l’apertura della valvola di sicurezza al colmo del recipiente del reattore, secondo le previsioni. Nello stesso momento le sbarre di controllo caddero automaticamente all’interno del reattore arrestando il processo di reazione nucleare.

Fino a quel momento l’incidente di Three Mile Island era rimasto nell’ambito della normalità. Nei momenti successivi invece esso sarebbe diventato il più drammatico della storia dell’impiego dell’energia nucleare a scopi pacifici e sarebbe finito per molti giorni sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Un insieme di piccoli guasti, nessuno dei quali particolarmente grave in sé, si combinarono con errori di intervento degli addetti alla centrale – impreparati a fronteggiare l’emergenza che si era creata – portando la situazione sull’orlo della catastrofe. La fusione del nocciolo – la cosiddetta “sindrome-cinese” –, che stando ai rapporti ufficiali sulla sicurezza aveva soltanto una probabilità su un milione di anni-reattore di verificarsi, stava per diventare realtà nei giorni successivi al 28 marzo 1979 a Three Mile Island. Dalla centrale sfuggì una nube di vapori e di gas radioattivi che si disperse nell’atmosfera sopra un’area di alcune decine di chilometri quadrati; ingenti quantità di acqua contaminata sfuggirono dall’edificio di contenimento e si riversarono nel fiume Susquehanna; l’incubo di esplosioni (fisico-chimiche, non nucleari) che avrebbero contaminato l’ambiente circostante in un’area di alcune migliaia di chilometri quadrati, continuò a stagnare su Three Mile Island per giorni e giorni, mentre si andava organizzando l’evacuazione generali e una parte della popolazione fuggiva spontaneamente dalla zona.

A due anni di distanza TMI-2, la seconda centrale nucleare di Three Mile Island, è sempre fuori servizio, le operazioni di decontaminazione sono lunghe e difficili, il recupero di funzionalità della centrale è tutt’altro che sicuro. In ogni caso verrebbe a costare più della costruzione stessa. L’incidente di Harrisburg, seguito in diretta via satellite in tutto il mondo, scosse profondamente l’opinione pubblica, squarciando d’un tratto il velo di rassicuranti affermazioni sulla sicurezza delle centrali nucleari diffuse dall’industria elettronucleare e dai governi. I rapporti che successivamente uscirono sull’incidente – in primo luogo il cosiddetto Rapporto Kemeny, dal nome del presidente della commissione istituita da Carter – costrinsero l’ambiente tecnico-scientifico legato allo sviluppo dell’energia nucleare a riconsiderare i presupposti sui quali fino a quel momento ci si era affidati in materia di sicurezza.

Anche i governi, le forze politiche e sindacali, l’industria del settore dovettero mostrarsi in qualche modo attenti alle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Ma si è trattato di un atteggiamento strumentale di corto respiro, al quale oggi fa seguito un rilancio dei programmi di costruzione delle centrali nucleari un po’ in tutti i Paesi europei, negli USA e anche nei Paesi del cosiddetto Terzo mondo (la costruzione di centrali nucleari nei Paesi dell’Est e in URSS non si era mai interrotta). Ricordare Harrisburg a due anni di distanza ha quindi il senso di chiamare ad un compito di estrema attualità: impedire che la logica del profitto ci imponga una scelta che mette in discussione la salute, l’ambiente e la stessa sopravvivenza della vita sulla terra. Nel momento in cui il ministro dell’Industria Pandolfi gira l’Italia a fare il piazzista della lobby nucleare nostrana, la cosa è particolarmente attuale anche nel nostro Paese.

L’INCIDENTE ERA IN ULTIMA ANALISI EVITABILE

Questo pezzo – pubblicato su “Bandiera Rossa” n. 10 del 29 marzo 1981 nel dossier “Harrisburg, 28 marzo 1979: l’incubo nucleare” – riporta i passi salienti del Rapporto Kemeny, ossia le conclusioni a cui era giunta la commissione d’inchiesta ufficiale americana sull’incidente di Three Mile Island. E’ il caso di ricordare che dopo di allora gli ordinativi per nuove centrali nucleari si fermarono del tutto negli Stati Uniti, per l’azione combinata dell’opposizione delle popolazioni e dei costi aumentati per la sicurezza. La stessa Nuclear Regulatory Commission (NCR), l’ente federale americano di controllo sul nucleare “civile”, scrive sul suo sito a proposito dell’incidente di TMI: “Non c’è dubbio che l’incidente di Three Mile Island ha cambiato in modo permanente sia l’industria nucleare sia la NRC”. Lo studioso del rischio nei sistemi complessi Charles Perrow in “Normal Accidents: Living With High Risk Technologies” (1984) definì l’incidente di TMI “inaspettato, incomprensibile, incontrollabile e inevitabile”. Nel momento in cui in Italia si pretende di ritornare al nucleare, è bene ricordare le lezioni del passato. [t.b., 30-11-2009]

Le conclusioni della commissione d’inchiesta su Three Mile Island

Sei mesi dopo l’incidente di Three Mile Island fu reso pubblico il rapporto della commissione d’inchiesta istituita da Carter. Si tratta del cosiddetto rapporto Kemeny, dal nome del presidente della commissione, pubblicato in Italia con il titolo “Harrisburg, emergenza nucleare” dall’associazione Amici della Terra. Riproduciamo alcuni passi essenziali della Conclusione generale di questo rapporto senza aggiungere nessun commento: sarebbe superfluo [da: Harrisburg emergenza nucleare, Milano 1980. I brani riportati qui sotto sono alle pagine 17, 18, 19, 20, 21, 24 e 29].

Per prevenire incidenti nucleari della gravità di quello verificatosi a Three Mile Island, sarà indispensabile introdurre trasformazioni radicali nell’organizzazione, nella procedura, nella prassi e soprattutto negli atteggiamenti della Commissione per la normativa nucleare e, per quanto si possano considerare rappresentative le organizzazioni oggetto di indagine, dell’intero settore nucleare. Nella conclusione si parla di trasformazioni radicali indispensabili: noi non intendiamo sostenere che le raccomandazioni da noi avanzate siano sufficienti a garantire la sicurezza dell’energia nucleare. […] Le diffuse polemiche sul tema delle centrali nucleari tendono a mettere in luce soprattutto la questione della sicurezza degli impianti. E’ vero, è necessario migliorare le attrezzature per conferire maggiore sicurezza alle centrali (e alcune nostre raccomandazioni mirano proprio a questo), ma a mano a mano che si accumulavano le prove a nostra disposizione, è stato possibile accertare che i problemi di fondo hanno a che fare, non tanto con gli impianti, quanto con le persone.

Quando sosteniamo che i problemi di fondo hanno a che fare con le persone, non intendiamo affatto limitarci a segnalare i difetti dei singoli esseri umani, che comunque esistono. Intendiamo dire invece, e più in generale, che l’inchiesta ha portato alla luce una patologia del “sistema” che produce, gestisce e regola le centrali nucleari. […] Poiché i guasti di grande entità impongono una reazione immediata, è necessario che l’impianto stesso sia dimensionato in modo da effettuare automaticamente l’intervento, mentre gli incidenti di minor conto possono svilupparsi con notevole lentezza e il loro controllo dipende da un adeguato intervento umano. Questa è stata appunto la tragedia di Three Mile Island, in cui i guasti meccanici associati all’incidente erano notevolmente inferiori per gravità a quelli minuziosamente previsti a progetto, mentre a mandare in confusione totale coloro che hanno gestito l’evento sono state le conseguenze dal lato meccanico.

Un inconveniente potenzialmente insignificante si è trasformato così nell’incidente di TMI, con gravissimi danni al reattore. E poiché tale associazione di piccoli guasti d’impianto è suscettibile di verificarsi con frequenza notevolmente maggiore rispetto agli incidenti macroscopici, nasce la necessita di uno studio attento e approfondito sulle cause minime. Si richiede inoltre la presenza di personale operativo e direttivo che conosca alla perfezione la meccanica d’esercizio della centrale e che sia in grado di reagire prontamente a qualsiasi associazione di piccoli guasti di impianto. […]

In conclusione, riconosciuto che l’elemento principale che ha trasformato un guasto tecnico in un incidente grave è stato l’intervento errato del personale operativo, molti altri fattori hanno contribuito a determinare l’errore umano: carenze addestrative, mancanza di chiarezza nelle procedure, incapacità dei corpi istituzionali a far tesoro di esperienze precedenti, deficienze progettuali della sala di controllo. Tali difetti sono da attribuirsi all’ente di gestione, alla ditte fornitrici di apparecchiature e alla commissione federale incaricata delle normative sull’energia nucleate. Siamo convinti pertanto che, indipendentemente dalla verifica dell’ipotesi “errore umano” per spiegare il caso specifico, un incidente quale quello di Three Mile Island fosse in ultima analisi inevitabile, date tutte ile carenze sopra descritte. […] Che si sia oppure no giunti, nel caso specifico, alle soglie di un incidente di dimensioni catastrofiche, si è trattato pur sempre di un incidente troppo grave. Non è lecito tollerare che si verifichino mai più in avvenire episodi della gravità di quello di Three Mile Island.

Poiché la situazione era sfuggita di mano, quanti tentavano di riportarla sotto controllo operavano praticamente al buio: anche se oggi, infatti, a sei mesi di distanza, possiamo dire di conoscere bene le cause dell’incidente, resta sempre arduo conoscere la situazione esatta del nocciolo e le condizioni esistenti all’interno dell’edificio del reattore. Una volta raggiunto questo stadio, cioè quando si oltrepassano i confini dei principi noti, tanto che coloro che si trovano a dover controllare un incidente del genere sono costretti a procedere per tentativi sperimentali (ciò che accadde nel corso della prima giornata), risulta troppo elevata l’incertezza circa l’eventualità di un’emissione radioattiva di grande entità. A ciò si aggiungano i gravissimi danni agli impianti, l’opera costosa e potenzialmente rischiosa di decontaminazione che resta da compiere nonché gli altissimi costi di tutta la vicenda: è ovvio concludere che l’incidente ha comunque avuto conseguenze tali da rendere intollerabile la prospettiva di un’altra calamità di tale portata.

Lascia un commento