di Tiziano Bagarolo
[Pubblicato una prima volta su Filorosso, 1979; una seconda su Red&green, 25-11-2009]
Crisi energetica, centrali nucleari, rischio radioattivo, plutonio, conseguenze economiche e politiche, fonti energetiche alternative. Discutiamo in questo articolo i temi della questione nucleare.
Una tecnologia sbagliata
La tecnologia nucleate sembra portarsi addosso l’impronta della sua origine. Come è noto, è stato il governo statunitense, durante la seconda guerra mondiale, a promuovere lo sviluppo dell’energia nucleare per i propri scopi bellici. I primi brillanti risultati di questa impresa portano il nome di Hiroshima e di Nagasaki, oltre 100mila morti. Da allora gli USA non hanno cessato di ampliare, in numero e qualità, i loro arsenali nucleari, e non hanno mai avuto timore a far pesare la minaccia atomica quando si trattava di difendere gli interessi imperialistici minacciati in qualche parte del mondo: Corea, Cuba, Vietnam, Medio Oriente. L’idea di un uso pacifico dell’energia nucleare prende piede negli anni ’50. Siamo nel clima della “guerra fredda” contro 1’URSS e dei movimenti per la pace promossi dalle forze di sinistra. Il presidente americano Eisenhower lancia il programma “atomo per la pace” con due scopi: giustificare agli occhi dell’opinione pubblica le enormi spese per gli armamenti nucleari; dare uno sbocco commerciale ai massicci investimenti dell’industria nucleare e al suo potenziale scientifico-produttivo. L’idea è produrre energia elettrica attraverso i “reattori di potenza” alimentati da uranio arricchito, cioè lo stesso combustibile che è servito per fare le bombe. Il procedimento è il seguente. Nel nocciolo del reattore ha luogo un processo difissione degli atomi di uranio-235, con liberazione di calore e formazione di rifiuti radioattivi (plutonio-239, stronzio-90, cesio-137, ecc.). Il calore è utilizzato per creare il vapore che mette in movimento una turbina collegata ad un alternatore che produce l’energia elettrica. Secondo il noto scienziato americano Barry Commoner questo sistema di produrre energia contrasta con i principi della termodinamica e si risolve in un altissimo spreco di energia: ne è una manifestazione anche l’inquinamento termico, cioè la dispersione nell’ambiente attraverso lo scarico delle acque di raffreddamento del reattore del 70% del calore prodotto. Ma tant’è: le centrali nucleari sono una nuova fonte di profitti, ed è questo il dato che conta!
Petrolio, uranio, crisi energetica e multinazionali
Durante gli anni sessanta il capitalismo internazionale può contare su una fonte energetica abbondante e a buon mercato: il petrolio. Lo ricava da un arco di stati (Paesi Arabi, Venezuela, Nigeria, ecc.) completamente dipendenti dall’imperialismo e asserviti agli interessi delle grandi compagnie petrolifere multinazionali. In questa situazione l’energia nucleare trova un grosso ostacolo per imporsi. Ma il quadro cambia sul finire del decennio. Le multinazionali nucleari americane Westinghouse e General Electric, spalleggiate dal governo, iniziano una aggressiva politica di penetrazione del mercato vendendo le centrali nucleari sotto costo. Contemporaneamente le società petrolifere si impegnano nel settore del ciclo del combustibile (ricerca, estrazione e trattamento dell’uranio). Si crea così un unico cartello tra le multinazionali del petrolio e dell’uranio che controlla l’intero settore delle fonti ai energia, consente l’aumento dei prezzi del petrolio, rende competitiva l’energia elettronucleare. Dapprima gli USA, poi anche i paesi europei e il Giappone, mettono in cantiere grandi programmi per la costruzione delle centrali nucleari. Una nuova spinta verso il nucleare viene nel 1973-74 dalla crisi petrolifera, allorché i Paesi Arabi produttori di petrolio decretano l’embargo dei rifornimenti verso i paesi occidentali che sostengono Israele e triplicano in pochi mesi il prezzo del greggio. L’energia nucleare diventa, per i paesi imperialisti, la condizione per l’autosufficienza energetica e per sottrarsi ai “ricatti” dei produttori di petrolio. Con la crisi petrolifera viene inoltre a galla una nuova questione: quella della crisi energetica. Le fonti tradizionali di energia, in primo luogo il petrolio, sono in via di rapido esaurimento, mentre i fabbisogni sono in costante crescita. A partire dal 1985 – si dice – la crisi energetica si farà drammatica. In gioco c’è la possibilità non solo di migliorare ma anche soltanto di conservare 1’attuale tenore di vita delle masse dei paesi capitalistici avanzati, per non parlare dello sviluppo dei paesi del Terzo Mondo. In questa prospettiva, l’energia nucleare è la soluzione più a portata di mano, la più economica, la più sicura. Comunque è l’unica soluzione almeno per alcuni decenni. Ma è proprio vero tutto ciò?
L’energia nucleare non è una soluzione
No, non e vero. Non è vero che la crisi energetica sia cosi drammaticamente vicina. E’ vero invece che le fonti energetiche su cui si è fondato lo sviluppo capitalistico negli ultimi decenni presentano un progressivo aumento dei loro costi di sfruttamento, e questo riduce le prospettive di profitto per le compagnie multinazionali. Ed è anche vero che i paesi che possiedono queste risorse non sono più disposti a subire passivamente la rapina imperialista delle loro ricchezze naturali; e ad opporsi non sono tanto i governi, generalmente alleati degli USA, bensì i popoli stessi, come dimostrano i recenti avvenimenti iraniani. L’esaurimento del petrolio non è questione del prossimo decennio; gli stessi programmi energetici predisposti dai governi dell’Occidente prevedono che il petrolio sarà ancora la fonte di energia principale, affiancata ma non sostituita dall’energia nucleare, per almeno altri 50 anni. Per quanto riguarda il carbone, la fonte energetica su cui si è retto lo sviluppo del capitalismo fino all’inizio dell’era del petrolio a buon mercato, le sue riserve accertate bastano per diverse centinaia di anni. L’uranio invece, che è anch’esso una risorsa limitata e non rinnovabile, avrebbe pochi decenni di vita se dovesse alimentare gli attuali programmi nucleari fondati sui reattori “provati”, cioè sui reattori ad acqua leggera (modelli PWR e BWR) e ad acqua pesante (modello CANDU) funzionanti con uranio arricchito i primi e ad uranio naturale i secondi. Gli studi ufficiali stimano per il 2020 l’esaurimento delle miniere accessibili di uranio. L’uranio non è quindi una soluzione!
La tappa successiva: il plutonio
Una via di uscita ci sarebbe: è costituita dallo sviluppo dei reattori veloci oautofertilizzanti (surgeneratori), alimentati dal plutonio, un elemento che si crea dalla trasformazione dell’uranio-238 durante il normale funzionamento di qualsiasi reattore. Verso questa soluzione si sono orientati decisamente i paesi della CEE, compresa l’Italia, mentre il governo USA mostra molte incertezze a mettersi su questa strada che si può ben definire infernale. I reattori autofertilizzanti sono così denominati perché presentano la caratteristica di produrre, nel corso del loro funzionamento, del nuovo combustibile in quantità superiore a quello bruciato. Ciò avviene trasformando l’uranio non fissile (uranio-238, che costituisce il 99,3% dell’uranio naturale) in plutonio. Dopo un opportuno trattamento, questo plutonio può servire per alimentare un altro reattore. In questo modo l’uranio diventa una fonte (quasi) rinnovabile. In realtà questa soluzione è puramente teorica. I programmi di sviluppo dei reattori veloci stanno incontrando difficoltà crescenti a causa dei gravissimi problemi tecnologici e di sicurezza, e quindi di economicità, che presenta tutto il ciclo del plutonio. Fino a questo momento, infatti, non è stato minimamente risolto il problema del trattamento su scala industriale delle grandi quantità di plutonio che sono necessarie per sostenere i reattori veloci. Senza il completamento di questo anello fondamentale del ciclo del combustibile, i reattori autofertilizzanti non potranno mai uscire dallo stadio sperimentale e diventare economicamente interessanti. Neppure il plutonio è dunque una soluzione a portata di mano. E, considerati i rischi terribili che dovrebbe affrontare una società fondata sul plutonio, è meglio così. Queste difficoltà a cui vanno incontro i programmi nucleari svelano altro aspetto della scelta nucleare che contraddice l’ottimismo ufficiale: il suo costo.
Il costo del chilowattora nucleare: austerità e disoccupazione!
L’energia elettronucleare a buon mercato non è mai stata una realtà. Ma anche come bugia si avvia ormai a diventare un ricordo del passato, Oggi neppure i documenti ufficiali sostengono più che il chilowattora nucleare è il più conveniente, e questo dopo gli aumenti del greggio degli ultimi anni! Per una serie di ragioni – l’inflazione, le difficoltà del trattamento del combustibile, il miglioramento dei dispositivi di sicurezza come risultato del movimento antinucleare, la considerazione del costo di smantellamento delle centrali fuori attività, ecc. – i costi dei programmi nucleari si sono moltiplicati negli ultimi anni. Reperire gli ingenti capitali da destinare a questi programmi è una delle preoccupazioni principali di tutti i governi dei paesi capitalistici. La risposta comune è stata quella di restringere le spese per i servizi sociali e gravare i lavoratori e le masse popolari con sempre nuovi programmi di austerità e con periodici aumenti delle tariffe elettriche e dei prezzi dei prodotti petroliferi (benzina, gasolio,ecc.). Questi investimenti, poi, si concentrano in una industria che ha bisogno di pochi tecnici e di pochi operai per funzionare, e sono sottratti ad altre industrie che impiegano un maggior numero di lavoratori. In tal modo un altro risultato della scelta nucleare è l’aumento della disoccupazione da un lato e una spinta allaconcentrazione del capitale dall’altro. Dal punto di vista delle condizioni di vita delle masse la scelta nucleare non è per nulla una soluzione “economica”!
Il rischio radioattivo e il problema delle scorie
Con il discorso sul plutonio abbiamo sfiorato in precedenza il problema del rischiodella scelta nucleare. Secondo il rapporto ufficiale americano sulla sicurezza degli impianti nucleari, il cosiddetto Rapporto Rasmussen, un incidente catastrofico come la fusione del nocciolo del reattore (meltdown), è praticamente impossibile: una probabilità su un milione di reattori-anno che si verifichi. Eppure l’impossibile è stato sul punto di realizzarsi. Il funzionamento difettoso di una pompa; una valvola che si blocca; il raffreddamento del reattore che di conseguenza viene a mancare; e l’incidente catastrofico diventa realtà. Data: 28 marzo 1979; luogo: centrale di Three Mile Island, presso Harrysburg in Pennsylvania, USA. Una nube di vapori e di gas radioattivi esce dalla centrale e si disperde nell’atmosfera, sopra un’area di decine di chilometri quadrati. Centinaia di migliaia di persone ricevono delle pericolose dosi di radiazioni. Si prepara l’evacuazione generale. Solo dopo alcuni giorni l’intervento dei tecnici riesce a sventare conseguenze più gravi. Nel caso di completo meltdown il combustibile incandescente avrebbe potuto provocare un’esplosione capace di diffondere materiali altamente radioattivi su un’area di migliaia di chilometri quadrati, causando migliaia di morti e di intossicati, contaminando l’ambiente per decenni. Non soltanto le centrali nucleari sono insicure. L’intero ciclo nucleare presenta un’elevata pericolosità a causa del rilascio permanente di radiazioni nell’ambiente circostante. Radiazioni che, come dimostrano le ricerche più recenti, provocano l’insorgere della leucemia, del cancro e di mutazioni genetiche, anche se assorbite in dosi piccolissime. A questo riguardo i problemi maggiori, tutt’ora ben lontani dall’essere risolti, sorgono in relazione ai processi di ritrattamento del combustibile irraggiato e di eliminazione dei rifiuti radioattivi (scorie). Il ritrattamento del combustibile già bruciato ha lo scopo di recuperare il plutonio che vi è contenuto e che può essere riutilizzato come combustibile nei reattori veloci. Queste operazioni sono tremendamente rischiose (e costose) per le caratteristiche dei materiali sottoposti al trattamento. Il plutonio è l’elemento radioattivo più terrificante che si possa immaginare. Pochi milligrammi di polvere di plutonio che si depositino nei polmoni provocano facilmente il cancro. Resta radioattivo per centinaia di migliaia di anni; durante tutto questo tempo deve essere assolutamente isolato dall’ambiente. Ne bastano 5 chilogrammi e poche nozioni tecniche per farci una bomba nucleare di potenza inaudita. Deve essere conservato in piccole quantità e con molta cura, perché una massa di pochi chilogrammi è sufficiente per innescare una reazione esplosiva spontanea. Si definiscono scorie quei prodotti altamente radioattivi che non possono essere riutilizzati e devono, per adesso, essere immagazzinati. La vita radioattiva di questi prodotti varia da qualche decina di giorni a qualche migliaio di anni. Per tutto questo periodo devono essere tenuti separati dall’ambiente per non contaminarlo. Il problema della eliminazione definitiva delle scorie non è stato risolto. I cimiteri radioattivi disseminati sulla superficie terrestre dalla criminalità dei fautori dell’atomo sono una minaccia per la stessa sopravvivenza dell’umanità lasciata in eredità alle generazioni future.
Verso un nuovo totalitarismo: lo “stato atomico”
Una società fondata sull’energia nucleare, sul plutonio, ha, pertanto, un problema essenziale da risolvere: garantire una duplice sicurezza: di questa sua risorsa vitale da qualsiasi pericolo, e della popolazione esposta al rischio radioattivo. Non è un problema soltanto tecnico; è un problema pure politico. Ci si deve garantire contro i furti di materiale radioattivo, contro i sabotaggi, contro un possibile “terrorismo nucleare”. Questo conduce a creare nuovi efficienti servizi di sicurezza per vigilare sugli impianti e per controllare quanti lavorano nel o per il settore nucleare, quanti abitano o vengono ad operare o solo a passare vicino agli impianti nucleari. Tutti gli oppositori politici, gli antinucleari, i non-conformisti, ecc. diventano potenziali terroristi da tenere sott’occhio. Si capisce che in queste condizioni è facile che vengano via via limitati i diritti democratici e sindacali. Che si rafforzi il potere dei militari e dei burocrati che sovrintendono alla sicurezza di tutto il sistema. In altre parole: la scelta nucleare porta a rafforzare le tendenze autoritarie, accentratrici e poliziesche già presenti nella forma democratico-parlamentare dello Stato borghese. E non si tratta di una pura possibilità, di una tendenza messa in luce dall’analisi teorica di qualche brillante studioso di scienze sociali. E’ già una realtà che avanza: l’11 agosto 1974 il “New York Times” dava la notizia che la polizia dello Stato del Texas aveva schedato tutti gli oppositori alle centrali nucleari; negli USA tutto il personale che ha accesso al plutonio è regolarmente schedato. Sono metodi che si stanno diffondendo anche altrove.
L’alternativa c’è già: il sole. Ma c’è un ostacolo: il capitalismo
Inquinamento dell’ambiente, dispersione permanente di radioattività che diffonde malattie e morte, alto rischio di incidenti catastrofici, cimiteri radioattivi che minacciano la sopravvivenza delle vita sulla terra, investimenti faraonici e al tempo stesso austerità e disoccupazione per le masse, restrizione dei diritti democratici e sindacali e militarizzazione delle società. Questo è il prezzo altissimo che si dovrebbe pagare in cambio di una parte dell’elettricità di cui c’è bisogno, in tutto poco più del 10/12% (verso il 1990/2000) del fabbisogno energetico totale. Un risultato che non serve assolutamente a risolvere la crisi energetica, ma soltanto, semmai, a perpetuare l’attuale sistema fondato sullo spreco facile. In realtà i termini della scelta nucleare ci sono imposti dall’organizzazione economico-politica del capitalismo, non dalle capacità tecnico-scientifiche attuali dell’umanità o dal suo rapporto con la natura. La possibilità di fronteggiare la futura crisi energetica senza ricorrere all’energia nucleare c’è già; basterebbe dedicare allo sviluppo di questa soluzione alternativa una piccola parte delle risorse che oggi sono buttate nel pozzo senza fondo dell’energia nucleare. Le tecnologie per lo sfruttamento dell’energia solare – l’unica fonte che sia, in prospettiva, veramente pulita, sicura, rinnovabile ed abbondante – promettono di essere disponibili a basso costo nel giro di qualche lustro. Già oggi sarebbe possibile soddisfare completamente il fabbisogno energetico domestico (riscaldamento, acqua calda, elettricità) ricorrendo ai pannelli solari. Per non fare che un solo esempio. Nel frattempo bisognerebbe puntare ad un uso più razionale delle fonti tradizionali (petrolio, energia idraulica, carbone, gas naturale, ecc.) e allo sviluppo di alcune fonti molto promettenti: la geotermia (acque calde e vapori del sottosuolo) e irifiuti (dai quali si può estrarre gas e fertilizzanti). Non ci sono ostacoli tecnici per realizzare questo passaggio non nucleare verso l’energia solare. Centinaia di studiosi di tutti i paesi ne hanno illustrato con cifre e dati la realizzabilità. Ma per i gruppi capitalistici dominanti, e per i loro governi, le uniche cifre che contano sono quelle dei fatturati e dei profitti delle corporations: e da questo punto di vista la scelta nucleare è il vero affare del secolo.
L’unico vero ostacolo per intraprendere una strategia energetica alternativa è proprio questo: il capitalismo.
E’ l’anarchia capitalistica, per nulla attenuata dai “piani” con cui le multinazionali sfruttano a proprio favore le crisi del sistema, che rende incapace questo sistema di affrontare un processo lungo e complesso come la riconversione delle fonti energetiche verso quella solare. E’ la proprietà privata dei mezzi di produzione e l’appropriazione privata delle risorse naturali che ha consentito e consente la rapina delle fonti di energia, lo spreco di tante risorse preziose, la distruzione della natura. E’ la logica del profitto che porta a sviluppare la tecnologia nucleare, perché consente di realizzare subito sicuri profitti mentre le spese di ricerca sono state, e sono, a carico degli enti statali, e cioè dei contribuenti; e porta invece a trascurare altre fonti perché richiederebbero investimenti iniziali nella ricerca. La scelta nucleare porta la logica del capitalismo, di dare la priorità al profitto a scapito dei bisogni umani, della qualità della vita, dell’equilibrio con l’ambiente naturale, alle estreme conseguenze, e rende più chiara e urgente l’alternativa socialismo o barbarie. Il movimento antinucleare, anche se non sempre con limpida chiarezza, comincia ad esprimere questa consapevolezza. Esso rappresenta, nei fatti, una sfida al capitalismo, al fatto che esso possa determinare il presente e il futuro di milioni dl persone al di fuori e contro la loro volontà. Per ottenere i sui scopi il movimento antinucleare ha oggi di fronte a sé un compito essenziale: scuotere il movimento operaio e portarlo dalla propria parte, in prima fila. Non solo perché i primi a subire le conseguenze della scelta nucleare sono i lavoratori impiegati nei posti di lavoro esposti alle radiazioni, ma soprattutto perché la classe operaia è il soggetto principale, determinante, della lotta anticapitalistica e per una società socialista, rispettosa dell’uomo e della natura.